30 marzo 1282: scoppia la rivolta dei Vespri siciliani

I Vespri siciliani furono una ribellione scoppiata a Palermo all’ora dei vespri di Lunedì dell’Angelo (30 marzo) nel 1282. Bersaglio della rivolta furono i dominatori francesi dell’isola, gli Angioini, avvertiti come oppressori stranieri. Da Palermo i moti si sparsero presto all’intera Sicilia, espellendone la presenza francese.

La ribellione diede avvio a una serie di guerre, chiamate “guerre del Vespro” per il controllo della Sicilia, definitivamente conclusesi con il trattato di Avignone del 1372.

Dopo la morte di Corrado, la sconfitta di Manfredi a Benevento e la decapitazione a Napoli il 29 ottobre 1268 dell’ultimo e pericoloso pretendente svevo Corradino, il Regno di Sicilia era stato definitivamente assoggettato al sovrano francese Carlo I d’Angiò. Papa Clemente IV, che, il 6 gennaio 1266 aveva già incoronato Carlo re di Sicilia, e sperava così di poter estendere la propria influenza all’Italia meridionale senza dover subire i veti precedentemente imposti dagli svevi, dovette rendersi conto che gli angioini avrebbero perseguito una politica aggressivamente espansionistica: conquistato il meridione d’Italia, le mire di Carlo volgevano infatti già ad Oriente ed a quel che restava dell’impero bizantino.

In Sicilia la situazione si era fatta particolarmente critica per una generalizzata riduzione delle libertà baronali e, soprattutto, per una opprimente politica fiscale. L’isola, da sempre fedelissima roccaforte sveva, che dopo la morte di Corradino aveva resistito ancora per alcuni anni, era ora il bersaglio della rappresaglia angioina. Gli Angiò si mostrarono insensibili a qualunque richiesta di ammorbidimento ed applicarono un esoso fiscalismo, praticando usurpazioni, soprusi e violenze. Va segnalato a tal proposito che Dante, che nel 1282 aveva solo 17 anni, nell’VIII canto del Paradiso, indicherà come Mala Segnoria il regno angioino di Sicilia. I nobili siciliani e in particolare il diplomatico Giovanni da Procida riponevano le proprie speranze in Michele VIII Palaeologo, imperatore bizantino già in contrasto con Carlo I d’Angiò, in Papa Niccolò III, che si era dimostrato disponibile ad una mediazione, ed in Pietro III d’Aragona.

Il re d’Aragona, in particolare, era guardato con favore perché sua moglie Costanza, in quanto figlia di Manfredi e nipote di Federico II, risultava l’unica pretendente legittima della casa di Svevia; tuttavia il sovrano aragonese era impegnato nella riconquista di quella parte della penisola iberica ancora in mano agli arabi. Alla fine del 1280, in concomitanza con la morte di papa Niccolò III e con la guerra che impegnava il Paleologo contro una coalizione di cui facevano parte veneziani ed angioini, i baroni siciliani ruppero gli indugi organizzando una sollevazione popolare che desse un segno tangibile della loro determinazione, convincendo l’unico interlocutore rimasto, Pietro d’Aragona, ad accorrere finalmente in loro aiuto. In quel mentre avveniva l’elezione del papa di origini francesi Martino IV che, eletto proprio grazie al determinante sostegno degli Angiò, si mostrò fin dall’inizio insensibile alla causa dei siciliani.

Nell’instabile panorama politico della fine del XIII secolo, la rivolta siciliana, intrecciando l’opposizione al potere temporale dei papi al contenimento dell’inarrestabile ascesa dei loro vassalli angioini, innescherà nel Mediterraneo un vero e proprio conflitto internazionale: da una parte Carlo I d’Angiò, sostenuto da Filippo III di Francia e dai guelfi fiorentini, oltreché dal papato; dall’altra Pietro III d’Aragona, appoggiato da Rodolfo d’Asburgo, da Edoardo I d’Inghilterra, dalla fazione ghibellina genovese, dal Conte Guido da Montefeltro e da Pietro I di Castiglia, oltreché, più tiepidamente, dalle Repubbliche marinare di Venezia e di Pisa.

Tutto ebbe inizio in concomitanza con la funzione serale dei Vespri del 30 marzo 1282, lunedì dell’Angelo, sul sagrato della Chiesa del Santo Spirito, a Palermo. A generare l’episodio fu – secondo la ricostruzione storica – la reazione al gesto di un soldato dell’esercito francese, tale Drouet, che si era rivolto in maniera irriguardosa a una giovane nobildonna accompagnata dal consorte, mettendole le mani addosso con il pretesto di doverla perquisire. A difesa di sua moglie, lo sposo riuscì a sottrarre la spada al soldato francese e a ucciderlo. Tale gesto costituì la scintilla che dette inizio alla rivolta. Nel corso della serata e della notte che ne seguì i palermitani – al grido di “Mora, mora!” – si abbandonarono a una vera e propria “caccia ai francesi” che dilagò in breve tempo in tutta l’isola, trasformandosi in una carneficina. I pochi francesi che sopravvissero al massacro vi riuscirono rifugiandosi nelle loro navi, attraccate lungo la costa.

Si racconta che i siciliani, per individuare i francesi che si camuffavano fra i popolani, facessero ricorso a uno shibboleth, mostrando loro dei ceci («cìciri», nella lingua siciliana) e chiedendo di pronunziarne il nome; quelli che venivano traditi dalla loro pronuncia francese (sciscirì), venivano immediatamente uccisi.

Secondo la tradizione, la rivoluzione del Vespro fu organizzata in gran segreto dai principali esponenti della nobiltà siciliana.

All’alba dell’indomani, la città di Palermo si proclamò indipendente. La rivolta si estese subito a tutta la Sicilia.

Dopo Palermo fu la volta di Corleone, Taormina, Messina, Siracusa, Augusta, Catania, Caltagirone e, via via, tutte le altre città. Successivamente, gli insorti richiesero il sostegno del Papa Martino IV, affinché appoggiasse l’indipendenza dell’isola e la patrocinasse; tuttavia, il pontefice era stato eletto al soglio papale grazie all’appoggio dei suoi connazionali francesi e pertanto non accolse le richieste degli isolani, bensì appoggiò l’azione repressiva degli angioini.

Carlo I d’Angiò tentò invano di sedare la rivolta con la promessa di numerose riforme; alla fine decise di intervenire militarmente.

Famoso simbolo di quella lotta divenne il termine «Antudo!», una parola d’ordine usata dagli esponenti della rivolta. Antudo è l’acronimo per le parole latine “Animus Tuus Dominus” e che vuol dire “il tuo coraggio è il Signore”. Il 3 aprile 1282 veniva adottata la bandiera giallo-rossa, con al centro la Triscele e che diverrà il vessillo di Sicilia. La bandiera venne formata dal giallo di Corleone e dal rosso di Palermo a seguito di un atto di confederazione stipulato da 29 rappresentanti delle due città. Antudo fu scritto anche nel vessillo.

Si susseguirono una serie di guerre. Infatti Carlo I nel maggio successivo inviò in Sicilia una flotta con 24.000 cavalieri e 90.000 fanti per sedare la rivolta dei siciliani. I nobili siciliani allora offrirono la corona di Sicilia a Pietro III d’Aragona, marito di Costanza, ultima degli Svevi, figlia del defunto Re Manfredi. Carlo fu sconfitto nel settembre 1282 e, fece ritorno a Napoli, lasciando la Sicilia nelle mani di Pietro III. Ebbe inizio così un ventennale periodo di guerre tra gli angioini e gli aragonesi per il possesso dell’isola.

La pace di Caltabellotta fu il primo accordo ufficiale di pace firmato il 31 agosto 1302 nel castello della cittadina siciliana fra Carlo di Valois, come capitano generale di Carlo II d’Angiò, e Federico III d’Aragona; tale trattato concluse quella che viene indicata come la prima fase dei Vespri.

I Vespri rappresentano una fondamentale tappa della storia siciliana: il lungo legame tra Sicilia e Aragona, che poi diverrà inclusione dell’isola nel regno unificato di fine XV secolo, nasce in questo contesto. Tale legame realizzò l’inserimento della Sicilia nel teatro mediterraneo, in cui la Corona d’Aragona rappresentava l’avversario degli Angioini e del Papa. L’isola divenne inoltre fulcro di interessi commerciali, contesi tra le potenze marittime di quel tempo (Barcellona, Genova, Firenze, Pisa, Venezia). Infine, moltissime famiglie nobili si trasferirono in Sicilia dalla penisola iberica, integrandosi con la nobiltà siciliana e finendo per costituire una componente importante della nobiltà isolana nei secoli successivi.

Un altro elemento degno di considerazione è la natura particolare del regno così nato. I ceti siciliani dominanti, attraverso il governo provvisorio, avendo richiesto a Pietro di assumere la corona, si rapportarono agli Aragonesi sempre come interlocutori piuttosto che come sudditi, nel segno di una monarchia “pattista”, che avrebbe dovuto tutelare e conservare le tradizioni del Regno e quindi anche la sua origine. Sotto questo aspetto, la monarchia sorta nel 1282 differisce profondamente da quella costituita sull’isola dai Normanni e dagli Svevi.

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