Fondazione Universitaria, sindacati: “Scenari preoccupanti”

L’idea di dotare le Università di Fondazioni per “allargare l’offerta” al territorio se non addirittura, come prevede la Legge 240/2012 (Legge Gelmini), di trasformare gli Atenei stessi in Fondazioni con un semplice voto del Consiglio di Amministrazione è un’idea che si può definire con un eufemismo preoccupante, visti i ripetuti risultati economicamente negativi sin qui maturati nelle fondazioni “pubbliche” al momento attive in diverse Università italiane (es. Messina, Chieti ecc..). Non meno inquietante appare un futuro ove la Fondazione, visti i carenti limiti in termini di trasparenza e nelle illimitate attività accessorie possibili, sia gestita da soggetti, diversi dai fondatori, con fini ben differenti da quelli istitutivi. Le devastanti esperienze passate e presenti di gestioni privatistiche, anche locali, sia sotto il profilo economico che giuridico-penale, non mancano.

Abbiamo il timore che la Fondazione, così com’è stata sin qui progettata, determini un asservimento delle attività universitarie agli interessi economici e patrimoniali della Fondazione stessa, travisando il principio della strumentalità rispetto alle funzioni istituzionali che devono rimanere in capo all’Università. Inoltre, l’istituzione di una Fondazione avverrebbe contestualmente alla riorganizzazione del lavoro nelle strutture e delle strutture stesse in itinere. Viene da chiedersi se la riorganizzazione delle strutture universitarie è in funzione dell’Ateneo o della Fondazione.

Entrando nel merito del documento istitutivo si osservano diversi aspetti. Appare quantomeno singolare la possibilità, contemplata dall’art. 1 c. 3 di costituire delegazioni e uffici sia in Italia che all’estero. Con quali costi? È impressionante che in un mondo ormai votato alla dematerializzazione dei processi o dei contatti si ritenga che la visibilità debba necessariamente passare da una fisicità di rappresentanza.

Proseguendo l’analisi dello statuto, si riscontra che potrebbero essere superati i limiti fissati dal DPR 254/2001, che istituisce le fondazioni universitarie ed attribuisce a queste attività il termine “accessorie”, quando si contempla la possibilità di “acquisizione di beni e servizi alle migliori condizioni di mercato o di compiere qualsiasi operazione, mobiliare, immobiliare (art. 2 c. 4 Statuto). Infine, i mutamenti intervenuti nella legislazione e nella giurisprudenza in merito ai rapporti fra pubbliche Amministrazioni e organismi dalle stesse partecipati, espone l’Ateneo a possibili contenziosi basati sulla intervenuta legislazione e giurisprudenza comunitaria in materia di appalti.

La normativa di riferimento ha introdotto per successivi passaggi una serie di adempimenti con l’obiettivo di prevenire fenomeni corruttivi e di dare maggiore trasparenza all’operato della pubblica amministrazione, ampliando il perimetro della definizione di P.A. anche alle organizzazioni di diritto privato in qualche modo funzionali e dipendenti dalle P.A. Quindi vincoli ben precisi in termini di trasparenza relativi alle risorse pubbliche impiegate (artt. da 15 a 33 della L. 190: bilanci, acquisti, sovvenzioni, contributi e sussidi, dati sul personale) che non possono esaurirsi, come scritto nello statuto della costituenda Fondazione, in una generica dichiarazione di trasparenza.

Non meno critico è l’ingresso di soggetti privati finanziatori nella governance della Fondazione, soggetti che potrebbero condizionare in qualche misura la scelta delle linee o degli oggetti della ricerca scientifica della Università. Questo potrebbe altresì costituire un’occasione di significativa ingerenza della classe politica territoriale nel Consiglio di Amministrazione della Università-Fondazione.

Dunque “a chi serve” e “a cosa serve” una Fondazione Universitaria nel nostro territorio?

Se andiamo a vedere tutta una serie di compiti che caratterizzerebbero l’istituenda Fondazione, non corredati di tutte le cautele e correttivi possibili, notiamo che essa si approprierebbe anche di temi (didattica, ricerca, erogazione servizi) di stretta pertinenza dell’Ateneo come proprio fine istituzionale.

Il parere del Senato Accademico sull’atto costitutivo della Fondazione è solo consultivo o è vincolante?

Altro aspetto gravido di possibili conseguenze negative emerge quando si accenna in termini generici al ruolo del personale addetto (nuovo reclutamento ed “eventuale apporto di PTA alle attività della Fondazione”). Dallo Statuto della Fondazione non emergono né le condizioni contrattuali dei primi né sono definiti i contorni ed i limiti dell’apporto del personale già in servizio presso l’Ateneo. Non è escluso per esempio che in futuro, pensando a una logica di “economie di scala” e di “abbattimento di costi” relativi al personale, si possa affiancare a pochi “stabili” (cui si prometterà carriera e comando sui subalterni) una schiera di lavoratori atipici con pochi diritti e bassi salari.

Quali garanzie offre la Governance dell’Ateneo che il finanziamento della Fondazione non avverrà con il taglio delle risorse economiche attualmente destinate al personale tecnico-amministrativo?

Le riflessioni formulate nel presente documento sono proposte affinché non si concretizzi anche nell’Ateneo parmense quella che è la definizione storicizzata delle Fondazioni Universitarie già costituite: il luogo in cui si socializzano le perdite e si privatizzano i profitti.

Le argomentazioni addotte, insieme ad altre non meno importanti che per brevità non sono state prodotte, inducono organizzazioni di categoria a considerare lo Statuto consegnato inaccettabile nei termini in cui è stato formulato. Si chiede pertanto che siano introdotte sostanziali modifiche al testo e si attivi una sua valutazione maggiormente ponderata e condivisa nei tempi e nei modi rispetto a quella sin qui adottata e presentata.

Simone Saccani Flc Cgil 

Patrizia Tagliavini Cisl Università 

Maurizio Manini Uil Rua 

perlavalbaganza