La nuova disciplina dei voucher lavoro

La legge per tutti. Il 10 giugno scorso il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ha approvato, in via preliminare, un Decreto Legislativo recante, fra l’altro, disposizioni integrative e correttive degli artt. 48 e 49 del D.lgs. n. 81/2015 dedicati alle prestazioni di lavoro accessorio e ai cosiddetti “voucher” o buoni lavoro. Ma procediamo con ordine e cerchiamo, in primo luogo, di fornire una definizione di lavoro accessorio. La prestazione occasionale di tipo accessorio rappresenta una forma “speciale” di lavoro la cui finalità è quella di regolamentare e regolarizzare, attraverso i buoni lavoro, attività caratterizzate da accessorietà vale a dire non riconducibili, come stabilito dalla Circolare Inps 88/2009, “a tipologie contrattuali tipiche di lavoro subordinato o autonomo”.

La finalità di tale istituto è, pertanto, duplice: da una lato, quella di far emergere dall’economia una serie di prestazioni che, altrimenti, alimenterebbero il fenomeno del lavoro “nero” (si pensi al cd. caporalato) e, dall’altro lato, quella di mantenere nel mercato del lavoro soggetti che sono in procinto di uscirne (come i pensionati titolari di un trattamento pensionistico obbligatorio) o che hanno difficoltà ad entrarvi (come lavoratori part-time, gli inoccupati, i titolari indennità di disoccupazione, i lavoratori extracomunitari ecc..).

I buoni lavoro o voucher rappresentano, invece, il modo di pagamento delle prestazioni occasionali di lavoro accessorio e possono essere attivate con diverse modalità a seconda che il committente sia un imprenditore o un professionista, oppure non rientri in nessuna di tali categorie: nel primo caso la legge impone che “i committenti imprenditori o professionisti acquistano uno o più carnet di buoni orari, numerati progressivamente e datati, esclusivamente attraverso modalità telematiche ”, mentre nel secondo caso “ i committenti non imprenditori o professionisti possono acquistare i buoni anche presso le rivendite autorizzate”.

Ora come rimarcato all’inizio il decreto correttivo del 10 giugno scorso ha inciso sia sul campo di applicazione delle prestazioni accessorie sia sulle modalità di costituzione del rapporto, stabilendo, nel primo caso che nel settore agricolo- in cui il lavoro accessorio è utilizzabile solo per attività svolte a favore dei piccoli produttori o per quelle di carattere stagionale effettuate da pensionati e/o da giovani con meno di venticinque anni a condizione che siano regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado o presso l’università – non opera il limite imposto ai committenti imprenditori o professionisti i quali possono avvalersi di prestazioni di lavoro accessorio per compensi non superiori a 2.000 euro per ciascun committente.

Ne consegue che nel settore agricolo il lavoro accessorio è utilizzabile esclusivamente per quelle attività lavorative che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 7.000 euro nel corso di un anno civile.

La seconda modifica indice, invece, sulle modalità di costituzione del lavoro accessorio ed è volta a garantire la piena tracciabilità dei voucher.

Proprio al fine di evitare un abuso oltre che un uso illegittimo di tale istituto, il legislatore impone ai committenti imprenditori non agricoli o professionisti, che ricorrono a prestazioni di lavoro accessorio di comunicare, almeno 60 minuti prima dell’inizio della prestazione, alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, mediante sms o posta elettronica, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione. I committenti imprenditori agricoli sono, invece, tenuti a comunicare, nello stesso termine e con le stesse modalità sopra indicate i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione con riferimento ad un arco temporale non superiore a 7 giorni.

Infine per rendere effettivi i predetti obblighi è stata prevista a carico del committente inadempiente una sanzione amministrativa da € 400 ad € 2.400 in relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione.

Studio Legale Avv. Barbara Ponzi

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