12 dicembre 1969: strage di Piazza Fontana a Milano

Il 12 dicembre 1969 avviene la strage di Piazza Fontana nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano.

Da molti è stata considerata «la madre di tutte le stragi» e ritenuta da alcuni l’inizio del periodo passato alla storia in Italia come anni di piombo. Per tanti aspetti si può parlare d’un prima di piazza Fontana e d’un dopo piazza Fontana. La strage della Banca dell’Agricoltura non fu la più atroce tra quelle che hanno insanguinato l’Italia ma fu una sorta di freccia avvelenata che colpì la società italiana, perché diede avvio al periodo stragista con simili gesti di cieca ferocia. Dei tossici che entrarono in circolo il Paese non riuscì più a liberarsi. Essi attizzarono tutte le polemiche, consentirono tutte le recriminazioni e alimentarono la mala pianta del terrorismo.

Le indagini si susseguiranno nel corso degli anni, con imputazioni a carico di vari esponenti anarchici e neofascisti; tuttavia alla fine tutti gli accusati sono stati sempre assolti in sede giudiziaria (peraltro alcuni sono stati condannati per altre stragi, e altri usufruiranno della prescrizione, evitando la pena). In contemporanea in Italia scoppiarono altre bombe, provocando 16 feriti, a Roma: una alla Banca Nazionale del Lavoro in via San Basilio, due all’Altare della Patria.

Da Milano il prefetto Libero Mazza, su segnalazione dall’Ufficio affari riservati del Viminale, avvisò il Presidente del Consiglio Mariano Rumor: «L’ipotesi attendibile che deve formularsi indirizza le indagini verso gruppi anarcoidi». La sera stessa della strage, intervistato da Tv7, Indro Montanelli espresse dei dubbi sul coinvolgimento degli anarchici, e vent’anni dopo ribadì quella tesi affermando: «Io ho escluso immediatamente la responsabilità degli anarchici per varie ragioni: prima di tutto, forse, per una specie di istinto, di intuizione, ma poi perché conosco gli anarchici. Gli anarchici non sono alieni dalla violenza, ma la usano in un altro modo: non sparano mai nel mucchio, non sparano mai nascondendo la mano. L’anarchico spara al bersaglio, in genere al bersaglio simbolico del potere, e di fronte. Assume sempre la responsabilità del suo gesto. Quindi, quell’infame attentato, evidentemente, non era di marca anarchica o anche se era di marca anarchica veniva da qualcuno che usurpava la qualifica di anarchico, ma non apparteneva certamente alla vera categoria, che io ho conosciuto ben diversa e che credo sia ancora ben diversa…»

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