21 aprile 1519: Hernán Cortés sbarca a Veracruz

Il 21 aprile 1519 Hernán Cortés sbarca a Veracruz. Hernán Cortés Monroy Pizarro Altamirano è stato un condottiero spagnolo.

Figlio di Martin de Monroy che antepose il cognome materno Cortes per ragioni successorie, abbatté l’impero azteco e lo sottomise al Regno di Spagna.

La prima regione su cui gli spagnoli sbarcarono, nel 1518, fu lo Yucatán, dove vennero a contatto con la popolazione dei Maya, da cui appresero dell’esistenza dell’impero azteco. Desideroso di saperne di più, il governatore di Cuba Diego Velázquez de Cuéllar promosse una spedizione verso l’interno e affidò il compito ad Hernan Cortés, che partì da Cuba alla volta del Messico il 18 febbraio 1519, con 11 navi, 100 marinai e 508 soldati, dotati di cavalli, animali allora sconosciuti in America, cani da combattimento e armi da fuoco.

Egli aveva iniziato la sua spedizione come ribelle: infatti, per via di tensioni interne, Diego Velázquez de Cuéllar aveva firmato la destituzione dall’incarico di suo segretario, e quindi l’annullamento della spedizione per il Messico, ma in contemporanea Cortés partì con i suoi uomini verso il centro America. Dopo i primi sentori di dissidi, Cortés diede ordine di smontare i brigantini, conservando solo vele e gomene: in questo modo intendeva assicurarsi da possibili diserzioni.

Il successo della sua impresa fu reso possibile da una serie di circostanze favorevoli: il sistema primitivo di dominio degli aztechi sulle popolazioni sottomesse e non secondariamente il fatto che i nativi non fossero mai stati a contatto con le numerose malattie infettive che i conquistadores portarono con sé dall’Europa, come vaiolo, tifo, scarlattina, con la conseguenza che il loro sistema immunitario non era in grado di farvi fronte.

Sbarcati sulla costa messicana, presso l’odierna Veracruz il 22 aprile, furono accolti più o meno favorevolmente dalle popolazioni; persino il potentissimo tlatoani (titolo traducibile con “imperatore”) azteco Montezuma II mandò quasi subito ambasciate. In base a segni interpretati come premonitori ed agli stessi miti di fondazione, gli spagnoli furono inizialmente interpretati come emissari di Quetzalcoatl, una delle principali divinità azteche. Cortès non dimostrò solo in questa occasione le sue abilità, le sue doti politiche e di stratega che gli assicurarono la conquista dell’impero. L’indecisione di Montezuma nell’affrontare l’imprevisto, la sua paralisi pragmatica si sommarono al risentimento che covava in alcune popolazioni mai sottomesse pienamente.

Giunto in Messico, Cortes si affiancò degli interpreti: Gerónimo de Aguilar, uno spagnolo naufragato anni prima su quelle coste, in grado di parlare la lingua Maya e La Malinche (nome originale Malintzin, Doña Marina per gli spagnoli) figlia di un cacicco Azteco, che conosceva sia il Nahuatl che la lingua Maya. Scoperti i dissensi tra i popoli sottomessi agli Aztechi vi strinse presto alleanze. Da alcune popolazioni con cui venne in contatto Cortes, l’impero Azteco esigeva tributi in termini di tassazione e di vittime sacrificali. Cortes ebbe buon gioco nel proporsi come riparatore di torti in missione per conto dell’imperatore Carlo V e del Cattolicesimo.

La flessibilità spagnola così come la rigidità azteca si manifestavano in battaglia: gli aztechi seguivano un rituale tradizionale in guerra (gli abiti che indossavano per l’occasione, il luogo della battaglia, l’urlo prima di attaccare), facilitando con tale prevedibilità il lavoro dei conquistadores. In realtà gli aztechi cercavano di catturare vivi gli spagnoli al fine di sacrificarli agli dei.

Per questo motivo essi attaccavano gli spagnoli uno per volta in quanto per un azteco prendere un prigioniero vivo al fine di sacrificarlo era un grande onore. Gli spagnoli invece combattevano all’europea, fendendo la spada su chiunque si trovava loro innanzi cagionando perciò moltissimi morti. Così, quando l’8 novembre Cortés entrò a Tenochtitlan accolto con tutti gli onori da Montezuma, aveva già con sé un esercito di circa 3000 indios. Gli Spagnoli dopo qualche giorno di permanenza si accorsero che la situazione stava volgendo al peggio: gli Aztechi si stavano preparando per ucciderli tutti.

Vennero anche a scoprire che una falange azteca aveva attaccato Vera Cruz, uccidendo molti spagnoli. A questo punto dopo aver pregato tutta la notte decisero che unica strada per salvarsi era quella di arrestare Montezuma, il quale per impedire la sollevazione popolare, disse ai suoi sudditi che andava volontariamente nella casa di suo padre dove alloggiavano gli spagnoli: l’imperatore strinse un rapporto abbastanza cordiale con Cortes, gli obbediva docilmente e accettò di far cessare i sacrifici umani. Cortes lo lasciava libero di governare l’impero cercando di convertirlo al cattolicesimo.

Cortés radunò i suoi alleati e marciò sulla capitale azteca con un grande esercito. Il 13 agosto 1521, dopo due mesi e mezzo di assedio, Tenochtitlan fu espugnata nuovamente, e nel giro di un anno gli spagnoli presero il controllo dell’intero paese.

Il Messico divenne una colonia spagnola dal nome “Nuova Spagna”; l’imperatore Carlo V nominò Cortés suo governatore.

Anche Cortés partecipò all’impresa di Algeri nell’ottobre del 1541. Carlo V, nel tentativo di contrastare la supremazia turca nel Mediterraneo, organizzò una spedizione per conquistare Algeri che in quel momento stava sotto il comando di Hassan Agà, un sardo rinnegato. L’offensiva, che partì da Cagliari, fu un fallimento ma fu un’occasione per Cortés per una permanenza in Sardegna, qui l’hidalgo incontrò un amico nella persona di Domenico Pastorello, vescovo di Cagliari. Costui entrò stabilmente nella cerchia di amicizie di Hernan Cortés.

Cortés morì nei pressi di Siviglia il 2 dicembre del 1547. Il corpo è tumulato, dal 1629, a Città del Messico nella chiesa di Gesù Nazareno.

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