TeoDaily – Ci siamo appena lasciati alle spalle la settimana santa, la Domenica delle Palme e il triduo pasquale, cerchiamo di vedere il contesto religioso, sociale e politico nel quale vanno inseriti gli avvenimenti fondanti del Cristianesimo.
Quando nella Domenica delle Palme, secondo i Vangeli canonici, Gesù fece il suo ingresso trionfale a Gerusalemme il mondo giudaico era attraversato da anni da lacerazioni e divisioni in campo religioso, con conseguenze sociali e anche politiche.
Il vertice religioso, costituito dal Gran Sacerdote e dal Sinedrio, inteso come consiglio supremo, era espressione dei Sadducei che si ispiravano ai primi cinque libri della Bibbia, il Pentateuco, chiamato la Torah, la legge, non riconoscevano gli altri libri e soprattutto quelli dei profeti. Quindi i Sadducei non credevano nella risurrezione, nell’avvento del Messia e del futuro Regno di Dio, erano fermi al culto derivante dal Pentateuco, erano fuori dalla prospettiva messianica.
I Sadducei, un’aristocrazia religiosa, sociale ed economica, accettavano la colloborazione con i Romani invasori, cooperando con loro nel potere politico locale.
Dall’altra parte c’era uno schieramento composito del Giudaismo, però come elemento comune, le varie componenti si ispiravano anche ai libri dei profeti, non si fermavano alla Torah. Avevano quindi una prospettiva messianica e attendevano un Messia che avrebbe instaurato un nuovo Regno, inteso anche come un nuovo ordine. In questo campo c’erano diverse sette, dai Farisei molto osservanti dei riti, agli Zeloti che in modo esplicito avversavano il dominio di Roma, agli Esseni, che vivevano isolati e in modo molto frugale; da questi ultimi, secondo molte fonti, veniva Giovanni il Battista. Il Barabba liberato, a furor di popolo, al posto di Gesù, era uno Zelota.
Si può affermare, semplificando, che questo schieramento esprimeva un “Giudaismo popolare” che, dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme, sarà vincente nella diaspora.
La vita pubblica di Gesù di Nazareth si inseriva in questo contesto di contrapposizione interna ai Giudei; la sua predicazione si ispirava ai libri dei profeti in modo molto evidente. Basta leggere i Vangeli, in primo luogo quello di Matteo, che é rivolto al mondo ebraico. Gesù enfatizza la prospettiva messianica e quando si proclama Figlio di Dio la porta alla massima espansione. Prima di entrare a Gerusalemme, egli predicò e fece miracoli in altre località, diventando molto famoso; l’entrata nella “Città Santa” costituì una chiara sfida all’aristocrazia sacerdotale dei Sadducei.
La predicazione basata sui profeti e il puntare sulla prospettiva messianica avevano in quel contesto una chiara implicazione politica interna ed esterna. Interna perchè dava una speranza agli strati più bassi della popolo israelita; esterna con riferimento all’attesa del Messia e del nuovo Regno di Dio, che erano facilmente assimilabili all’aspirazione a essere liberi dal dominio di Roma.
I Vangeli canonici tendono a presentare una “neutralità” politica della predicazione di Gesù, soprattutto nei confronti dei Romani.
Nella Passione secondo San Giovann viene messo in risalto, più che negli altri tre Vangeli, la figura del governatore di Roma a Gerusalemme, Ponzio Pilato, come colui che subisce la volontà del Sinedrio giudaico nel mettere a morte Gesù. Leggendo sempre il vangelo di Giovanni, traspare che esso viene anche presentato come un eversore dell’ordine costituito garantito dai Romani e dai Sadducei.
La tradizione evangelica che ha sottolineato la responsabilità dei Giudei nella condanna a morte di Gesù, glissando, a dispetto della realtà giuridica del tempo, su quella dei dominatori Romani, ha facilitato, a partire dal IV secolo dopo Cristo, la diffusione in modo ufficiale del Cristianesimo nell’Impero Romano.
Stefano Gelati
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