† Caino è ancora tra noi e continua a fare il male (di Jacopo Masini)

Jacopo Masini

TeoDaily – La storia di Caino e di suo fratello Abele viene raccontata nel libro quarto della Genesi. È dunque una storia fondativa.

Caino e Abele sono figli di Adamo ed Eva. Il primo è dedito all’agricoltura e il secondo alla pastorizia. Nel racconto della Genesi, entrambi offrono i frutti del proprio lavoro a Dio, che apprezza solo quelli di Abele. E qui si apre una questione interessante: perché non apprezza anche quelli di Caino? Non crea in questo modo una disparità tra i due fratelli?

I libri della Bibbia sono spesso anti-intuitivi, come dimostra la parabola evangelica del fico che non dà frutta, maledetto da Gesù e condannato alla sterilità. La rabbia di Cristo non è una condanna – tanto meno una condanna della volontaria scelta di non avere figli – ma un ammonimento: siete nati per fare cose, dare frutti, usare i vostri talenti. Se non lo fate, abdicate al vostro compito di esseri umani.

Insomma, datevi da fare e usate le vostre capacità. Bello, no?

Bene, torniamo a Dio e Caino. Perché i frutti del lavoro di Caino non vengono accettati? È una questione controversa, tutt’altro che bislacca o marginale, dal momento che ha interrogato per secoli i Padri della Chiesa. E una delle risposte più interessanti risiede, come spesso accade con le lingue antiche come l’ebraico, nel significato dei termini utilizzati, nelle loro sfumature. (Apro una parentesi: l’etimologia dei nomi di Caino e Abele è di una bellezza commovente, secondo me. Come riporta il sito Treccani, il nome Caino pare derivi dal verbo qanah [che significa “acquistare” un figlio] ma, poiché i discendenti di Caino sono tutti artigiani e inventori, è più probabile che si colleghi al termine semitico che significa “fabbro”. Abele, invece, significa “vapore, nulla” e sembra indicare che sia destinato a morire. Chiusa parentesi).

Torniamo alle offerte di Caino. Nella traduzione greca del verso 7 nel quarto capitolo della Genesi, un verso molto difficile da capire nell’originale ebraico, la colpa di Caino sembra essere questa: ha diviso ingiustamente i beni da sacrificare, dando a Dio la parte peggiore dei frutti della terra (facendo cioè un inganno simile a quello di Prometeo). La tradizione ebraica e cristiana, forse per questo motivo, dicono che Caino fosse avido e vizioso, mentre Abele era giusto e virtuoso.

In sostanza, Caino ha cercato di fregare Dio dandogli gli scarti, o comunque la parte meno preziosa del raccolto. E non si può fregare Dio, come dimostra il seguito della storia.

Roso dall’invidia nei confronti di Abele, Caino fa una cosa che mi ha sempre agghiacciato. Somiglia alla scena iniziale di fatti di cronaca terrificanti e cruenti, in cui l’inganno si tramuta in puro e semplice orrore: invita suo fratello a fare un giro, gli dice ‘Andiamo in campagna!’ e si approfitta della situazione per ucciderlo. Immagino Caino che esclama gioviale ‘Andiamo in campagna!’, mettendo sorridente un braccio sulla spalla del fratello, mentre si incamminano insieme e nella sua testa sta già immaginando come e quando uccidere Abele. Una persona di cui Abele si fida ciecamente, suo fratello, sta per ucciderlo. Terrificante.


TeoDaily

Teologia, religione, spiritualità


Una volta consumato il fratricidio – ed è molto significativo che uno dei due figli della prima coppia generata da Dio sia un fratricida – Caino viene interrogato da Dio. Dov’è tuo fratello?, gli chiede, e Caino pronuncia una frase memorabile, nella sua pusillanimità: ‘Sono forse il custode di mio fratello?’, che è anche una frase tipica e molto comune, molto umana e altrettanto menefreghista, ma declinata questa volta in una chiave ancora più atroce. Caino ha ucciso suo fratello, lo nega e cerca di ingannare Dio, insinuando che non può certo fargli da balia o stargli dietro tutto il giorno.

Il seguito è noto: Dio maledice Caino, lo condanna a essere ramingo sulla Terra, senza che il terreno gli conceda più buoni frutti. Caino capisce l’enormità dello stigma e dice che in questo modo, con questa condanna sul capo, chiunque potrà ucciderlo in qualsiasi momento, ma Dio lo preserva: pone su di lui il famoso e dibattuto e misterioso ‘segno di Caino’. Dice Dio nella Genese: “«Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!»” e poi “Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l’avesse incontrato”.

Di che segno si tratta? Una cicatrice? Una macchia? Cosa? Altro argomento dibattutissimo e affascinante, ma non è qui che voglio arrivare.

Voglio arrivare al seguito. Dice di nuovo la Genesi:  “Caino si allontanò dal Signore e abitò nel paese di Nod, ad oriente di Eden. Ora Caino si unì alla moglie che concepì e partorì Enoch; poi divenne costruttore di una città, che chiamò Enoch, dal nome del figlio”.

Dunque Caino fonda una città a cui dà il nome del figlio. E poi? E poi non lo sappiamo. Dio ha detto a Caino:  “ramingo e fuggiasco sarai sulla terra”. Perciò, che cosa ne è stato di lui? Dove è fuggito in seguito?

E qui arrivo al punto. A una considerazione fatta tanti anni fa da padre Benedetto Calati, un uomo straordinario, un monaco camaldolese che ho avuto la fortuna di incontrare e che, nel corso di quell’incontro pubblico a cui parteciparono centinaia di persone, disse una cosa che non ho più dimenticato. Disse, vado a memoria: dal momento in cui Dio lo ha condannato a vagare sulla terra portandosi dietro la colpa dell’omicidio di Abele, Caino è in giro per la Storia. C’è, disse, un Caino costantemente in giro per la Storia, che attraversa i secoli.

Semina morte e distruzione? Guerra fratricide e massacri? Non lo sappiamo. Ma, probabilmente, dovremmo cercare di riconoscere il segno e fermarlo. Fermarlo come? Non certo uccidendolo: nessuno può toccare Caino. Ma, secondo il pensiero inaugurato da Cristo, affidandoci all’amore.

Scrisse una volta padre Benedetto Calati: “Con il primato dell’amore, che non è né celibe né coniugato, si aiutano meglio gli uomini a illuminare e risolvere anche i più angosciosi dilemmi di oggi, attorno alla vita e alla morte”.

Perché, aggiungeva, Dio è un bacio.

Caino, forse, cerca un bacio che lo fermi.

Jacopo Masini


perlavalbaganza