Nel 2035 parmigiani più vecchi e meno produttivi

Possono destare preoccupazione su più fronti le proiezioni demografiche da qui al 2035 rese note dall’Ufficio Statistica della Provincia nel corso di una conferenza stampa svoltasi stamattina a Palazzo Giordani.

“Gli scenari demografici prospettati ci parlano di un territorio con una popolazione sempre più vecchia e per questo meno produttiva, meno propensa all’innovazione, più costosa in termini di sanità e servizi sociali – spiega il Delegato provinciale alla Statistica Paolo Bianchi – Sarebbe bene che gli amministratori locali, ma anche gli imprenditori considerassero con attenzione questi dati, che sono dati affidabili, e cominciassero a pensare alle conseguenze e ai possibili correttivi. L’immigrazione finora è stata una risorsa, ma non si prevede che continui nella stessa misura.”

L’ANDAMENTO DEMOGRAFICO
Dopo un periodo di quasi 15 anni in cui la popolazione della provincia di Parma è passata dai 397 mila abitanti del 2000 agli oltre 447 mila del 2013, con un aumento complessivo di 50 mila residenti, dal 2014 siamo entrati in una fase di crescita molto modesta, che ha portato la popolazione al 1° gennaio 2018 a circa 450 mila persone.

Ma quanti residenti avrà la provincia di Parma nel 2035?
Poco più di 460 mila, circa 11.000 residenti in più rispetto al 1.1.2018, secondo le proiezioni del Servizio Statistica Regionale, cioè una crescita poco significativa, il 2,4% in più in 17 anni.
Però cambierà, e in modo importante, il rapporto tra le generazioni, con conseguenze rilevanti.

E potranno essere solo gli immigrati, sia stranieri sia da altre regioni italiane, a compensare la perdita di popolazione dovuta al saldo naturale fortemente negativo.
Azzerando i flussi migratori in ingresso per tutto il periodo considerato, infatti, la popolazione diminuirà del 20%, pari a circa 90 mila residenti in meno nel 2035 rispetto al 2018.
Un tale calo di popolazione avrebbe tante conseguenze, ad esempio un crollo del mercato immobiliare e dei settori connessi, a partire dall’edilizia.

Il contributo delle nascite, che è cresciuto a partire dalla seconda metà degli anni novanta fino a raggiungere il massimo nel 2010 con quasi 4.200 nati, è previsto in diminuzione fino al 2026 (circa 3.300 nascite) per poi invertire la tendenza e tornare a salire leggermente, ma comunque sempre con un numero inferiore ai 3.500 nati l’anno.
Tra le cause di questo declino pesa la prevista drastica diminuzione delle donne in età feconda: al 2035 avremo circa 3.400 “potenziali madri” in meno rispetto al 2018.
Si consideri che gli attuali 50-60enni appartengono a generazioni di oltre 5mila nati, mentre gli attuali 30enni a generazioni di appena 2,5mila nati.
Per tornare al picco di nascite del 2010 senza variazioni di fecondità individuale bisognerebbe raddoppiare i flussi migratori del periodo 2010-2015.
Questo calo avrà conseguenze imminenti sul numero di bambini e ragazzi che frequenteranno gli asili nido, le scuole materne e le scuole elementari, e in seguito anche sulle scuole medie e superiori, con possibili diminuzioni di occupazione nel settore.

L’INVECCHIAMENTO DEL MERCATO DEL LAVORO
La popolazione nella classe di età 15-39 anni è costantemente diminuita nell’ultimo decennio, ed è attesa ancora in calo nei prossimi anni. Solo nel 2027 tornerà a superare le 120 mila persone.
Sulla consistenza numerica di questa fascia di popolazione pesa la denatalità che ha caratterizzato il nostro paese negli anni ottanta. Con il naturale scorrere della popolazione sulla scala delle età, le generazioni poco numerose dei 15-39enni andranno a sostituire gli attuali 40-64enni, generazioni molto più consistenti e finora costantemente in aumento, determinandone una diminuzione, attesa a partire all’incirca dal 2025.
Il 2023 sarà l’anno di svolta, in quell’anno avremo la punta massima dell’invecchiamento della popolazione nelle età lavorative, con gravi conseguenze sulla capacità di rispondere alle esigenze di innovazione del sistema produttivo.
La popolazione attiva nel suo complesso calerà (-5.534 persone al 2035 nella fascia di età 15-64 rispetto ad oggi), ma sarà una diminuzione percentualmente piuttosto modesta (-1,9%), che limiterà l’attrazione di immigrati, anche considerando i recuperi di produttività dovuti all’automazione.

LA CRESCITA DEGLI ANZIANI
Continuerà invece a crescere costantemente e significativamente la popolazione anziana (65 anni e oltre), che nel 2035 in provincia di Parma rappresenteranno il 27,3% del totale della popolazione, quasi 126 mila individui.
Si stima che i 75enni e oltre supereranno i 60.200 residenti. E gli 85 anni e oltre passeranno dagli attuali 17.983 a oltre 20.000 nel 2035, con un aumento del 12%.

L’invecchiamento della popolazione avrà pesanti riflessi sulla spesa sanitaria e assistenziale, ma anche sul livello del PIL. Infatti vari studi (ad esempio della Bce e dell’Harward Business School) che analizzano il rapporto tra invecchiamento della popolazione e declino del PIL ipotizzano che le società vecchie perdano lo spirito d’intraprendenza, scegliendo la sicurezza piuttosto che il rischio e l’innovatività. Quindi, se non governato, l’invecchiamento porterebbe inevitabilmente ad una società stagnante, caratterizzata da scarsa inventiva, e in definitiva poco capace di produrre ricchezza.
Tuttavia, i policy makers e gli imprenditori possono articolare delle strategie per contrastare questa tendenza, in particolare investendo sulla formazione e l’innovazione tecnologica, che può diventare una grande opportunità.

Si prevede per il prossimo futuro che l’aspettativa di vita alla nascita continuerà ad aumentare, ma con ritmi notevolmente più bassi rispetto al passato. Infatti dal 2001 al 2016 si è avuto un aumento dell’aspettativa di vita alla nascita di misura eccezionale, oltre 4 anni per gli uomini, e 2,6 anni per le donne, che ha portato al livello attuale di 80,95 anni per i primi e di 85,44 per le seconde.
Nell’arco dei prossimi 15 anni, invece, si ipotizzano aumenti di 2 anni per gli uomini e di 1,7 anni per le donne, quindi con un’ulteriore diminuzione della differenza tra maschi e femmine, ma con quasi il dimezzamento dei ritmi di incremento del quindicennio scorso .

In sintesi, queste proiezioni ci dicono che le generazioni anziane non verranno completamente sostituite da quelle giovani e che l’effetto dei comportamenti demografici del passato incide profondamente su quanto ci dobbiamo aspettare nel futuro.
Gli scenari demografici pongono quindi molti interrogativi sull’organizzazione della società nel suo complesso e sulla possibilità di sostenere lo sviluppo da parte di una popolazione invecchiata.

perlavalbaganza