Arrestati tre imprenditori dell’impiantistica industriale per frode fiscale e falsa fatturazione

Nella mattinata odierna, militari del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Parma hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari, emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Parma a seguito di richiesta della locale Procura della Repubblica, per i reati associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale ed alle false fatturazioni.

La misura cautelare ha riguardato tre imprenditori parmigiani (Fanticini Giuliano da Reggio Emilia, di anni 53; Dei Francesco da Foggia, di anni 46; Giuffredi Gabriele da Fidenza, di anni 47), operanti nel settore dell’impiantistica industriale.

E’ stato altresì disposto il sequestro per equivalente, fino a concorrenza delle imposte evase, per oltre 10.000.000 di euro, su conti correnti, depositi e su circa novanta immobili riconducibili agli indagati.

Nel complesso, sono indagate trentanove persone per i reati di associazione per delinquere finalizzata all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, alla dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti inesistenti, alla omessa dichiarazione, all’occultamento o distruzione di scritture contabili.

Le indagini di polizia giudiziaria e tributaria, svolte dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Parma, hanno avuto origine da un’attività di verifica fiscale in materia di imposte sui redditi, I.V.A. ed I.R.A.P., avviata nei confronti della MTI società consortile a responsabilità limitata (denominata Consorzio MTI), con sede amministrativa a Parma, attiva nel settore metalmeccanico e nella fornitura di manodopera specializzata nelle lavorazioni meccaniche, con consistenti rapporti commerciali con società di primario livello nazionale ed internazionale, aventi sede nelle province di Parma e di Reggio Emilia.

La parallela esecuzione da parte delle Fiamme Gialle, sotto la direzione della Procura della Repubblica di Parma, di una mirata attività di polizia giudiziaria, sviluppata mediante tecniche di investigazione pura (intercettazioni telefoniche ed ambientali, perquisizioni e sequestri, escussioni testimoniali, attività di osservazione, pedinamento ed appostamento), ha consentito di ricostruire puntualmente l’architettura della frode e lo schema delle società coinvolte e di individuare gli amministratori di fatto delle società interessate, delineando compiutamente ruoli e (allo stato degli atti) responsabilità di ciascuno.

Gli imprenditori ideatori dell’articolato sistema di frode hanno infatti utilizzato lo schermo del consorzio e delle società consorziate, intestati a meri prestanome (a parte una società consorziata avente una struttura amministrativa ed operativa realmente esistente), per ottenere nel tempo, a danno dell’Erario, indebiti benefici e sostanziali risparmi finanziari in termini di imposte sui redditi ed I.V.A., con un conseguente vantaggio competitivo nei confronti degli altri players operanti nel medesimo segmento di mercato. L’utilizzo di tali meccanismi fraudolenti ha infatti permesso di fornire, in processi produttivi “labour-intensive”, forza lavoro a prezzi fuori mercato, in tal modo dopando il mercato di riferimento ed alterando in maniera deleteria l’economia legale.

In particolare:

Fanticini Giuliano e Dei Francesco, amministratori di fatto del Consorzio (intestato ad un prestanome), si relazionavano con i clienti, ottenendo in appalto le lavorazioni impiantistiche e fornendo il personale, tramite le società consorziate, per eseguire la commessa direttamente presso gli stabilimenti dei committenti; ad esecuzione avvenuta, il Consorzio MTI provvedeva ad emettere fattura nei confronti delle grandi aziende clienti;
le società facenti parte del Consorzio MTI, anch’esse rappresentate da prestanome ma gestite, di fatto, da Fanticini Giuliano, Dei Francesco e Giuffredi Gabriele, eseguivano materialmente le lavorazioni presso gli stabilimenti, mediante i circa duecento lavoratori regolarmente assunti, e provvedevano a fatturare la prestazione al Consorzio, loro unico cliente; le società create ad hoc e succedutesi nel tempo all’interno del Consorzio, le cui sedi sono risultate meri recapiti e che, di fatto, costituivano un’entità univoca con il Consorzio, provvedevano a versare puntualmente le ritenute d’acconto ed i contributi per lavoratori dipendenti;
le medesime società consorziate, a loro volta, annotavano nella loro contabilità fatture fittizie emesse da società “cartiere”, con lo scopo di azzerare il proprio reddito imponibile e l’Iva dovuta.

Il risparmio finanziario ottenuto dall’evasione delle imposte ha permesso al gruppo di proporre i propri servizi ai committenti a prezzi altamente concorrenziali e di aggiudicarsi commesse di grande importanza, ottenute da aziende multinazionali che esternalizzano il ricorso alla manodopera specializzata.

Dall’analisi della documentazione acquisita agli atti è risultato come, per gli anni d’imposta esaminati (2015, 2016 e 2017), il fatturato passivo delle società consorziate fosse rappresentato quasi esclusivamente da fatture emesse da mere “cartiere”, per un importo complessivo di oltre 25 milioni di euro. I documenti contabili fittizi sono stati emessi da 24 imprese deputate esclusivamente alla sistematica emissione di fatture per prestazioni di servizio mai realizzate.

Le società in rassegna, prive di personale dipendente, strutture, mezzi e attrezzature operative, non hanno mai esercitato attività economica reale e non hanno ottemperato né al versamento delle imposte dovute, né agli obblighi di presentazione delle prescritte dichiarazioni annuali.

Gli accertamenti bancari relativi alle false fatturazioni, inoltre, si sono dimostrati fondamentali per tracciare i flussi finanziari e per documentare la costituzione di fondi di denaro “occulti” a disposizione degli ideatori della frode, realizzati con la monetizzazione, attraverso plurimi prelievi di contanti, delle somme percepite a titolo di pagamento dei documenti contabili fittizi.

All’esito della complessiva attività investigativa svolta dalla Procura della Repubblica e dalle Fiamme Gialle è stato possibile individuare le disponibilità liquide giacenti nei rapporti finanziari nonché ulteriori beni riconducibili agli indagati, sì da consentire l’adozione del sequestro preventivo da parte del GIP. In particolare, in esito ad una particolareggiata ricostruzione dei flussi finanziari, il Giudice per le indagini preliminari di Parma ha disposto il sequestro preventivo di circa 90 diversi immobili di pregevole valore di mercato, ubicati nelle Province di Parma e di Brescia, intestati formalmente a società immobiliari ed a Trust estranei al procedimento penale, utilizzati come meri schermi fittizi per celare la reale proprietà piena ed esclusiva degli indagati.
Parma, 16.9.2019

Il Procuratore della Repubblica
dott. Alfonso D’Avino

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