Collegio Europeo, Europa, economia locale, Parma 2020… INTERVISTA a Cesare Azzali

Cesare Azzali

Il legame di Parma con l’Europa ha basi storiche molto lontane nel tempo. Oggi la città ospita diverse istituzioni che con l’Europa hanno molto a che fare: dalla Scuola per l’Europa, al Collegio Europeo all’Efsa che è stata assegnata a Parma, dopo un lungo contendere, nel dicembre del 2003.
Proprio di Europa abbiamo voluto parlare con un profondo conoscitore delle tematiche culturali, sociali ed economiche del vecchio continente: Cesare Azzali, presidente della Fondazione Collegio Europeo e direttore generale dell’Unione Parmense degli Industriali.

Cosa rappresenta il Collegio Europeo per la città?

Rappresenta per Parma, ma non solo, uno straordinario ponte con l’Europa per i giovani laureati di tutto il mondo che ambiscono a intraprendere una carriera nell’area delle Istituzioni europee e quindi a un’esperienza di livello internazionale. È un patrimonio europeo nel campo della formazione di eccellenza e un vero laboratorio di integrazione grazie alla presenza di studenti che vengono da tutto il mondo. Dalla sua costituzione, nel 1988, a oggi, il Collegio Europeo ha accolto quasi 1000 “diplomanti” provenienti da 60 nazionalità europee ed extraeuropee. Qui hanno tenuto lectiones magistrales personalità del calibro di Jaques Delors, Romano Prodi, Josè Manuel Durão Barroso past president della Commissione Europea o Antonio Tajani e Jerry Buzek già presidenti del Parlamento Europeo, per citare solo i principali.

Si ritiene un europeista convinto? Cosa significa esserlo oggi al tempo della Brexit?

Il filosofo Benedetto Croce, che dichiarava di essere non convinto dell’esistenza di Dio, ha scritto un’opera intitolata “Perché non possiamo non dirci cristiani”. Era consapevole che i valori del cristianesimo – la più grande rivoluzione del mondo antico – si fossero profondamente radicati nella cultura europea e dell’Occidente in genere e, indipendentemente dal fatto di avere o meno la vocazione ad aderire alla fede religiosa, ognuno di noi ha nel proprio patrimonio culturale elementi che da lì nascono. Quindi ritengo che per chi vive oggi nel vecchio continente, la dimensione europea non sia una scelta, ma una condizione naturale e necessaria. Io credo nell’utilità dello sforzo che si è fatto per cercare di integrare interessi, tradizioni e sistemi politici di chi vive in questa parte del mondo. Pur con tutti i limiti, le carenze e le profonde contraddizioni che si sono aperte a fronte dell’interruzione della crescita economica, la creazione delle Istituzioni europee sia l’unica vera grande rivoluzione che questo continente ha registrato nell’ultimo secolo. Sono convintamente europeista anche se non ritengo che lo stato di attuazione del processo di integrazione che è alla base dell’Istituzioni europee sia sufficientemente rispondente alle necessità e alle sfide che il cambiamento del mondo prodotto dalla tecnologia ha comportato e comporta.

Quali saranno le conseguenze della Brexit?

Introduce un altro elemento di novità che andrà comunque gestito, perché la Gran Bretagna, con le sue diverse componenti, è pezzo imprescindibile dell’identità europea. Oggi hanno tutti il mito del mutamento, ma i cambiamenti ci sono sempre stati. Il tema vero è che c’è il disagio di non comprenderne la direzione. La Gran Bretagna non potrà fare a meno del resto dell’Europa e viceversa. Si assisterà a un confronto, anche forte, sul modo di assestare la gestione degli interessi e dei posizionamenti nel contesto dello scacchiere internazionale. Io credo che possa diventare uno stimolo importante per rilanciare la capacità di ripensare la struttura e il modo di funzionamento delle istituzioni europee. Senza sottovalutare i rischi e gli impegni che ciò comporta, ma sono fiducioso che sarà un fattore di crescita, che potrà dare nuova linfa.

In un contesto generale di non crescita come sta l’economia di Parma?

Al netto del fatto che anche da noi negli ultimi mesi dello scorso anno si è percepito un certo rallentamento, sta andando bene. L’elemento trainante è l’export: nei primi nove mesi del 2019 le esportazioni parmensi sono cresciute del 4,7%, in linea con la media regionale e quasi del doppio rispetto a quella nazionale. Hanno avuto un andamento molto positivo l’alimentare, l’ambito chimico farmaceutico, il vetro. Quasi stazionario il settore tessile e l’impiantistica alimentare. Sono in calo invece il settore meccanico e la plastica. Particolarmente rilevante sono le esportazioni alimentari verso gli Usa (+36%) rispetto allo stesso periodo del 2018. Il nostro mercato interno è debole, la ricchezza si distribuisce con difficoltà è c’è stasi della domanda, ma oggi il mercato è planetario. L’Unione Europea ha recentemente stretto un accordo con il mercato comune del Sud America – il Mercasur – per l’abbattimento dei dazi con l’Europa. Le Istituzioni Europee sono state in grado di stringere questo accordo, cosa che difficilmente un singolo Stato avrebbe potuto fare. La possibilità di avere un unico grande mercato è un’opportunità per tutte le aziende europee non solo per le nostre, è una condizione fondamentale per operare al riparo da ostacoli è un fattore importante per favorire la crescita. L’Europa ha bisogno però di essere profondamente ripensata in termine di alleggerimento di tutta una serie di procedure, abbiamo assistito alla moltiplicazione delle regole.

Siamo entrati nel vivo di Parma 2020, che opportunità sarà?

Sarà un’opportunità per il turismo perché la città sarà vetrina d’Italia, genererà investimenti sul territorio e favorirà la collaborazione fra pubblico e privato. Come Upi abbiamo presentato un progetto intitolato “Imprese aperte” che coinvolge oltre 40 aziende per più di 200 appuntamenti quest’anno. Sarà un’opportunità di conoscere il “genius faber parmigiano”. Il Collegio Europeo con la Scuola per l’Europa hanno invece proposto “Parma nel cuore dell’Europa” che mira a trasferire il messaggio europeo di pace e integrazione a cui la nostra città ha contribuito nel corso della storia.

Per chiudere, che cosa si aspetta dalle imminenti elezioni regionali?

Il miracolo che le forze politiche comincino in maniera trasparente e concreta a mettere al centro delle loro riflessioni alcune questioni, quelle che i cittadini ritengono prioritarie. Faccio alcuni esempi: come in concreto sia possibile rilanciare le popolazioni della montagna, assicurare un assetto idrogeologico più sicuro, trovare modalità per mettere a disposizione la risorsa idrica quando serve, perché siamo in epoca di siccità e di cambiamento climatico. Non sono in grado di dire se questo fatto sia legato all’impatto di azioni umane o avvenga indipendentemente da noi e sia al di fuori del nostro controllo, ma comunque dobbiamo cambiare il modo di fare le cose. Dobbiamo tornare ad essere seri e ad avere il culto di una parola che è sparita dal lessico: dignità. Se il piano del confronto si sposterà sui problemi veri avremo qualche ragionevole speranza, se ci perderemo in una sorta di contrapposizione tribale, con ogni probabilità, le Istituzioni faranno fatica a essere una risorsa, invece che un limite o un costo. È la serietà con cui verranno affrontate le questioni che farà la differenza. E fra l’altro, con il contesto internazionale che stiamo vivendo, per noi la sfida sarà impegnativa perché stare sui mercati è sempre stato difficile, ma in una situazione di instabilità del quadro geopolitico internazionale la difficoltà aumenta. Avremmo bisogno di avere delle Istituzioni regionali determinate a tutelare la qualità di vita dei cittadini all’interno, ma anche promuovere le nostre aziende all’esterno.

La probabilità che questo succeda? Mi affido alla speranza…

Tatiana Cogo

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