Zapata non è morto

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01/02/2012
h.11.10

Canzoni di Lotta, la rubrica di ParmaDaily gestita dal Direttore Andrea Marsiletti in collaborazione con alcuni compagni di Rifondazione Comunista e dei Comunisti Italiani di Parma.

“Zapata non è morto” è una canzone di lotta della della Casa del vento, un gruppo combat folk formatosi in provincia di Arezzo nel 1991.
Emiliano Zapata è stato un capo rivoluzionario, politico e guerrigliero messicano.
Il suo esordio politico risale al 1909 quando, eletto sindaco di Anenecuilco. Verso la metà del 1910, dopo vari tentativi di risolvere i problemi della ridistribuzione dei terreni per via legale, Zapata e i suoi cominciarono a occupare e a distribuire terre.
Verso la fine del 1910, Zapata iniziò la lotta armata, diventando capo indiscusso della rivoluzione del Sud. Ha inizio una guerra lunga e difficile, prima contro Madero, poi contro Huerta e infine contro Venustiano Carranza. Gli zapatisti sono inafferrabili: applicando la tecnica della guerriglia, colpiscono i distaccamenti militari per poi scomparire nel nulla.
Verso la fine del 1913, grazie anche alle spettacolari vittorie di Villa al nord, Zapata costrinse alla fuga Huerta (15 luglio). Nell’autunno 1914 si celebrò ad Aguascalientes una convenzione tra le differenti fazioni rivoluzionarie che però non riuscirono a trovare l’accordo. Zapata fu presente alla successiva convenzione aguascaliense. Questa convenzione adottò il piano di Ayala ed elesse Eulalio Gutierrez come presidente provvisorio. I gruppi diretti da Pancho Villa e Zapata accettarono i risultati della convenzione; lo stesso non fece il gruppo del generale Venustiano Carranza e questo provocò la prosecuzione della guerra civile.
In dicembre, in seguito alla rottura con Venustiano Carranza, che rappresentava la borghesia agraria del nord, le truppe contadine di Villa e Zapata entrarono trionfanti a Città del Messico inalberando i vessilli della Vergine di Guadalupe, patrona dei popoli indigeni. Fu in questi giorni che Zapata si rifiutò di sedersi sulla poltrona presidenziale: “non combatto per questo. Combatto per le terre, perché le restituiscano”.
Tornò nel Morelos, dove nel 1915 giovani intellettuali, studenti provenienti da Città del Messico, gli zapatisti distribuirono terre e promulgarono leggi per restituire il potere ai pueblos. Si trattò di un’esperienza di democrazia diretta, la comune di Morelos, che rappresentò l’apice della rivoluzione zapatista. Infatti, le strepitose vittorie di Obregón su Villa capovolgono nuovamente la situazione, la rivoluzione contadina entrò in una fase di declino progressivo da cui, salvo per brevi momenti, non si riprenderà più.
Zapata fu attirato in un’imboscata e venne assassinato il 10 aprile 1919, presso la fattoria di Chinameca, per mano del traditore Jesús Guajardo. Mandante dell’uccisione fu Venustiano Carranza.
Zapata scelse la lotta armata perché capì che i contadini per poter essere proprietari delle terre che coltivavano dovevano potersi difendere dalle truppe di Victoriano Huerta. Nel piano di Ayala, di cui Zapata fu autore, si esigeva la riforma agraria.
Il Messico di Emilio Zapata era diviso tra due diverse civiltà: i ricchi, proprietari terrieri e i poveri indigeni, senza terra, ma con un forte spirito di solidarietà. Oltre il 90% dei capofamiglia non aveva terra. I terreni comuni, ejido, venivano di continuo minacciati dai grandi latifondisti, proprietari delle cosiddette hacienda. Indubbiamente notevole influenza su Zapata, la ebbe anche il Plan de Luis de Potosì, manifesto delle riforme di Francisco Madero. Nel piano di Ayala, dove, a causa della sua inconcludenza, Francisco Madero venne definito traditore, punto centrale è la terra. Gli articoli 6, 7, 8, 9, parlavano di restituzione della terra, di espropriazione dei latifondi, di nazionalizzazione delle risorse. Successivamente, nel 1915, Zapata approvò la ley agraria, con cui continua la redistribuzione dei terreni. 
Dopo la sua morte per molti anni in Messico ci furono voci che dicevano che Zapata fosse ancora vivo.
Il suo motto era Reforma, Libertad, Justicia y Ley (Plan de Ayala) e non come si crede “Tierra y Libertad”. Fu sua la frase “Preferisco morire in piedi piuttosto che vivere in ginocchio”.

Andrea Marsiletti

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