Carlo III di Borbone il Duca di Parma assassinato… e dimenticato (di Stefano Gelati)

Parma, Domenica 26 Marzo 1854.

Nel tardo pomeriggio Carlo III, duca di Parma, Piacenza e degli Stati annessi, dal 1849, sta rientrando a palazzo dopo la sua solita passeggiata per la città, accompagnato dal suo attendente e seguito da un alabardiere, percorre Strada Santa Lucia (l’odierna Via Cavour), appena superata la omonima chiesa, un uomo avvolto in un mantello lo urta e lo trafigge con una lima ferendolo alla pancia; l’attentatore inseguito, fugge attraverso il laterale Borgo Santa Brigida. Dopo ventiquattro ore, il successivo 27 marzo, il duca muore a seguito delle complicazioni derivanti dalla ferita; quando é ancora cosciente sussurra:”Questo è un regalo di Mazzini”:

L’attentatore, il sellaio Antonio Carra, viene arrestato dopo dieci giorni; e poi rilasciato perchè riesce a fingersi innocente; Carra poi fugge da Parma verso Genova dove s’imbarca per l’Argentina; una volta in salvo, con una lettera si dichiara autore dell’attentato al duca.

Nei giorni precedenti sui muri della città erano apparse scritte di minaccia di morte al duca. Quali erano i motivi del disprezzo dei sudditi del Ducato nei confronti del loro sovrano, tanto da fare di Parma, l’unica capitale di uno stato preunitario dove avvenne un regicidio durante il Risorgimento?

Carlo III, mentre si stava preparando la spedizione in Crimea per fermare le mire dell’impero russo, sperava di avere un comando militare e di poter far partecipare anche un gruppo di artiglieria dell’esercito parmense alla coalizione antirussa di Francia e Inghilterra con la copertura dell’Austria e del Piemonte, che poi invierà un contingente in Crimea nell’anno successivo.

A tal fine, in quell’anno 1854, fu emesso un prestito forzoso, anche per coprire le ingenti spese militari del piccolo Stato, che, in tempo di pace, armava un eserercito di oltre seimila soldati. Prestito forzoso significava che doveva obbligatoriamente essere sottoscritto; ciò creava scontento soprattutto nella borghesia urbana e rurale.

 

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Durante il governo di Carlo III, mentre in molti Stati della penisola la forca veniva fatta “lavorare” molto, non venne eseguita nessuna condanna a morte; però numerose, quasi trecento, furono la bastonature; una pena corporale che non era prevista dal codice penale parmense, che il duca, considerando lo Stato come una caserma, prese dal regolamento militare austriaco, dando lui stesso disposizioni sul numero di nerbate.

Non aveva buoni rapporti con il clero e con parte dellla nobiltà, ma soprattutto con la moglie Luisa Maria di Berry che non poteva approvare la sua manifesta e plurima infedeltà, conosciuta in tute le corti d’Italia e d’Europa; ed anche l’Austria , la potenza di riferimento del Ducato, vedeva con sospetto alcune sue “libertà diplomatiche”.

Carlo era solito fare delle passeggiate in città, in pratica senza scorta, accompagnato solo da un attendente, per vedere se la gente lo salutava; ciò lo fece un facile bersaglio per attentati, come in concreto si verificò in quella domenica del 1854.

La cospirazione mazziniana, e non solo, aveva le sue basi tra i rifugiati in Piemonte, dopo i moti del 1831 e del 1848; Stradella, la città vicino al confine era il crocevia dei traffici, anche delle informazioni dagli Stati parmensi.

La notizia dell’attentato al duca di Parma e della sua morte si sparse subito nelle altre capitali; Cavour, già il giorno successivo, ne parlò al Senato, a Torino. La moglie Luisa Maria di Berry assunse la reggenza in nome del figlio Roberto, di soli sei anni.

La reggente allontanò dal governo i ministri più fedeli a Carlo III, trasformò il prestito forzoso in volontario e ridusse la consistenza delle truppe; questi mutamenti hanno portato alcuni storici a vedere nella duchessa e negli ambienti di corte a lei vicini, come mandanti dell’assasinio del duca.

In quel 1854 la scia di sangue, continuò, con altri accoltellamenti “eccellenti”fino ad arrivare al 22 luglio, quando la rivolta di chiara matrice mazziniana, venne sgominata attraverso una serie di delazioni, dopo aver provocato negli scontri tra rivoltosi e truppe ducali e autriache, concentrati tra le odierne Via Saffi e Via XXII Luglio, ben quattordici morti.

Il consiglio di guerra comminò molte pene capitali, ne furono eseguite otto; uno dei rivoltosi, Mattey, venne fucilato legato in piedi ad una barella, perchè aveva il femore rotto.

Se guardo la manualistica, anche scolastica, sul Risorgimento, trovo poco o nessuno spazio a ciò che è avvenuto nel Ducato, nonostante il regicidio di Carlo III ed i moti del 22 luglio 1854.

Nella vulgata popolare sembra che tutto si sia fermato al dolce governo di Maria Luigia, che, come fece rilevare Francesco Bernini nella sua Storia di Parma, morì al momento giusto, nel 1847, prima dei moti dell’anno seguente. Così il mito della “buona duchessa” é diventato eterno ed inscalfibile per i Parmigiani.

Stefano Gelati

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