INTERVISTA – Giovanni Jacobazzi, ex comandante della Polizia Municipale di Parma: “Vignali è l’usato sicuro che può vincere le comunali”

Giovanni Jacobazzi

Giovanni Jacobazzi, oggi giornalista del quotidiano nazionale “Il Dubbio”, già Comandante della Polizia Municipale di Parma ai tempi dell’Amministrazione Vignali, è un attento osservatore e conoscitore della politica locale.

Lo abbiamo intervistato.

Dopo dieci anni che ho definito di “ibernazione” (leggi: Il risveglio del centrodestra di Parma dopo dieci anni di ibernazione), il centrodestra di Parma oggi sembra essere tornato quello dei “tempi d’oro” con Vignali, Lunardi e Bernini protagonisti e king maker di questa fase pre-elettorale. Che spiegazione ti sei dato?

La spiegazione è semplice. In questi ultimi dieci anni, non chiedermi il motivo, a Parma i partiti di centrodestra non sono stati capaci di creare una classe dirigente all’altezza ed hanno consentito a Federico Pizzarotti di governare senza avere opposizione. Adesso che devono indicare un candidato sindaco, sono a un bivio: andare sul tradizionale “usato sicuro”, con i nomi che hai fatto, oppure puntare su un civico, Danilo Coppe, che peraltro conosco ed è una bravissima persona.

Non è che torni anche tu?

No. E’ una parentesi professionale chiusa. Spero comunque che l’attuale capo della polizia municipale, dopo la girandola di comandanti, dia continuità al Corpo. Mi fa piacere che ha ripreso con impegno molte attività sul territorio che venivano effettuate durante la mia gestione, tipo il controllo dei minimarket o dei locali etnici dove si vendono bevande alcoliche, anche a minori, a tutte le ore del giorno e della notte. L’enorme consumo di alcolici fra i giovani è una delle principali emergenze.

Secondo te Vignali può vincere le elezioni comunali?

Vignali ha buone possibilità di vincere le elezioni. (leggi: La manovra a tenaglia di Vignali ) O almeno di giocarsi la partita fino in fondo. Leggo che va senza sosta nei quartieri. La gente ha metabolizzato da tempo le sue vicende giudiziarie. Tranne una frangia minoritaria di irriducibili, i parmigiani, anche senza aver letto i libri di Luca Palamara e Alessandro Sallusti, hanno capito come funzionano i processi in Italia. L’ha capito lo stesso Pizzarotti che dieci anni fa andava a protestare sotto i portici del grano inneggiando ai magistrati e adesso che toccano lui, mi riferisco all’indagine sul Teatro Regio, strilla e si dichiara vittima dei pm.

Come vedi oggi Parma dai tuoi osservatori ormai fuori dalla città?

Parma era e resta una bella città, con una qualità della vita molto alta. In dieci anni i cambiamenti, però, sono stati profondi. In centro tanti negozi, anche per la pandemia, hanno chiuso e molte zone sono finite nel degrado. Il futuro sindaco dovrà lavorare molto su questi temi. Ovviamente non esiste la bacchetta magica.


Per quanto riguarda le tue vicende processuali, a che punto siamo?

Mio malgrado sono ancora nelle mani dei magistrati: a distanza di 14 anni dai fatti che mi furono contestati dai pm, e che mi portarono su tutte le prime pagine, non ho una sentenza definitiva. Pare incredibile ma è così. Con cadenza periodica, ogni sei mesi, faccio fare dall’avvocato un sollecito alla Corte d’Appello di Bologna dove è pendente da oltre quattro anni il mio ricorso. E ogni volta i giudici mi rispondono che sono pieni di fascicoli e che non sono in grado di fissare una data per l’udienza. Prendo però tutto con grande filosofia: le accuse più gravi, corruzione per dare appalti e concussione per impedire i controlli agli esercizi commerciali, erano cadute in primo grado. Sono rimaste cinque multe al codice della strada che secondo i pm non potevo annullare, l’aver utilizzato una Panda del Comune per recarmi a stipulare una convenzione assicurativa per i vigili fuori città, l’uso improprio, sempre secondo i pm, di una decina di buoni pasto da 7 euro. Capirai bene che parliamo del nulla. Purtroppo tutta l’indagine è stata surreale e all’insegna dei conflitti d’interesse: un pm aveva il marito che aspirava a venire al mio posto di comandante, un altro era nelle chat di Palamara e si faceva raccomandare per avere una promozione dal Csm, e il procuratore, finito il mandato, si era candidato in un partito all’opposizione della giunta Vignali che le sue indagini avevano fatto cadere. Credo non ci sia da aggiungere altro.

Andrea Marsiletti

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