La storia di “Lorenzo”, rapito dai talebani a 17 anni, scappato da un campo di addestramento alla guerra, oggi a Parma. INTERVISTA

Lorenzo non è il suo nome.

Ha deciso di utilizzarlo per non mettere a rischio se stesso e la sua famiglia che vive in una zona di confine tra Afghanistan e Pakistan.

Lorenzo è di origine afghane, i nonni e i bisnonni vivevano là prima di trasferirsi nella zona di Peshawar importante città di frontiera, sulla via della seta, a soli 50 chilometri dal paese di origine.

Ancora possiedono terre in Afghanistan, ma Lorenzo lì non può tornare. Perché a 17 anni è stato rapito dai talebani ed è riuscito a scappare. Oggi ha solo 26 anni e ha già vissuto esperienze inimmaginabili per molti di noi.

Studiava ingegneria informatica a Peshawar, ma da lì si è dovuto allontanare e, dopo un viaggio ricco di peripezie è arrivato in Italia, prima a Trieste e poi a Parma. Nella nostra città, grazie a una borsa di studio, studia geologia, ed è a un esame dalla laurea triennale.

Oltre a studiare, Lorenzo lavora come mediatore culturale per il Comune di Parma e per alcune associazioni di Brescia e di Reggio Emilia. Oggi aiuta le persone che sono nella stessa condizione in cui si trovava lui non tanti anni fa. Aiuta i minori non accompagnati, i rifugiati e tutti coloro che sono in fuga dall’Afghanistan, paese tornato, da poco meno di un mese, in mano ai talebani.

Chi sono i talebani? Sono terroristi che vogliono obbligare le persone a fare cose che non hanno senso.

Cosa c’entrano con l’Islam? L’Islam non è guerra. I maestri di religione a scuola ci insegnavano a trattare bene tutti, animali e piante compresi. Far saltare in aria dei bambini è contro l’umanità.

Che differenza c’è fra loro, l’Isis e Al Qaida?

Personalmente ho conosciuto solo i talebani, quelli che vivevano vicino ai nostri villaggi, ma credo che non ci sia nessuna differenza. A seconda del paese in cui si trovano o della bandiera che imbracciano si trasformano, cambiano il loro nome, ma rimangono tutti solo dei terroristi.

A te cosa è successo?

A 17 anni andavo a scuola e i talebani hanno lasciato una lettera a mio padre in cui gli intimavano di consegnarmi, perché dovevo essere addestrato come tutti i giovani del villaggio, per andare a fare la guerra in Afghanistan, ma io non volevo queste cose. Un giorno, mentre tornavo dalla scuola assieme ai miei amici, ci hanno presi, caricati in macchina, coperto il viso e ci hanno portato nel loro campo in montagna, a quattro ore da casa. Sono rimasto in quel campo tre mesi. In quel periodo c’erano molte ostilità e guerriglie tra talebani e pachistani e sono riuscito a scappare una notte in cui hanno bombardato il campo, con altri quattro ragazzi. Una signora ci ha nascosto in casa sua e poi sono riuscito a contattare la mia famiglia che dopo un po’ di tempo è riuscita a venirci a prendere.

Cosa facevate in quel campo?

Ognuno aveva un compito preciso, chi le pulizie, altri cucinavano, altri ancora pulivano le armi, io all’inizio dovevo andare al pozzo a prendere l’acqua. Alla sera insegnavano l’uso delle armi a tutti. Io ero solo uno studente e mai avevo visto cose del genere. C’era un gruppo che loro chiamavano “speciale” fatto di ragazzini, prevalentemente orfani di 10-12-14 anni ai quali mettevano le bombe sulla giacca per poi farli “suicidare”. Io ho chiacchierato con molti di loro ed erano totalmente inconsapevoli del loro destino. Venivano trattati molto bene: gli davano da mangiare, i vestiti e poi…

Come sei arrivato in Europa?

A 19 anni sono dovuto andare via dal mio paese perché se mi avessero trovavano mi avrebbero ucciso. Ho fatto un viaggio molto pericoloso, grazie a dei trafficanti, sono arrivato in Iran, da lì poi in Turchia, poi in Bulgaria. Ho attraversato i Balcani e sono arrivato a Trieste da rifugiato e lì, grazie a un progetto Caritas sono riuscito ad avere i documenti. Poi ho avuto l’opportunità di venire a Parma, avere una borsa di studio e ora anche un permesso di soggiorno di lungo periodo.

Cosa pensi della situazione in Afghanistan e in particolare della condizione femminile?

È una situazione drammatica per il popolo afghano in generale. Sono poverissimi e non hanno lavoro. Sono al punto che stanno vendendo i tappeti o il poco che hanno per comprare da mangiare o le medicine. Le famiglie in generale, hanno troppi figli e la scuola è l’ultimo problema.

Ma la questione dell’educazione e dell’istruzione è centrale per tutti e in particolare per le donne, non solo in Afghanistan, ma anche nel nord del Pakistan.

Mio padre non ha mai detto a mia sorella di smettere di andare a scuola, ma lei oltre una certa età è dovuta rimanere a casa. Era fortemente stressata dalla pressione che sentiva addosso a causa degli zii, dei vicini di casa e degli altri abitanti del villaggio che la guardavano male solo perché usciva di casa. Aveva voglia di studiare, ma abitando in una comunità così non ha potuto farlo. Ora è sposata e non potrà mai più cambiare la sua condizione.

A Kabul o nelle principali città, in questi 20 anni molte donne hanno avuto la possibilità di studiare, di diventare medici, giornaliste, insegnanti, ma sono una minoranza. Kabul non è l’Afghanistan.

Cosa ha significato per te vivere qui?

Non avrei mai immaginato nella mia vita di poter avere un’amica. E oggi all’università ne ho più di una, sono come sorelle, studiamo insieme, ci confrontiamo, facciamo gite insieme. Quando ne parlo con i miei cugini che sono rimasti là, mi ripetono che non può esistere amicizia fra uomini e donne.

Non hanno coscienza e conoscenza, non comprendono i diritti, il fatto che uomini e donne siano uguali e che entrambi debbano poter scegliere di stare con chi gli piace. Nel mio paese ci sono i matrimoni combinati e le persone non vivono bene, non sono contente.

L’unico modo di evolversi e uscire da quella situazione è migliorare il livello di cultura solo così non ci saranno più razzismi e terrorismi.

Hai paura pensi di tornare a casa prima o poi?

È molto tempo che non vedo la mia mamma, spero l’anno prossimo, se finisce la pandemia, magari a Istambul o in un’altra città, ma non posso tornare nel mio villaggio, i talebani hanno molto potere dalle nostre parti. Ho viaggiato molto e visto diversi posti, ma quando torno a Parma sto bene. Questa è la mia casa, qui c’è tutto per essere contenti.

Tatiana Cogo

 

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