“La sinistra a Parma ha espulso i suoi elementi migliori”

16/02/2009
h.17.00

Bernardo Cinquetti, uno dei protagonisti della politica degli anni ’90… gli anni della rottura della Sinistra Giovanile con l’allora sindaco del PDS Stefano Lavagetto, poi candidato Presidente della Provincia contro Andrea Borri e Paolo Paglia… da anni vivi lontano da Parma (in Francia per l’esattezza)… Orbene, a distanza di tanto tempo, il domandone non può mancare: ti senti responsabile (o meglio, colpevole) di aver contribuito, rompendo il fronte della sinistra, alla prima elezione nel 1998 di Elvio Ubaldi, mandando così a casa la sinistra almeno per 15 anni…?
Mi metti in faccia il passato così?
Ok, sono sicuramente in parte responsabile di quel passaggio politico della città; non ne sono pentito anzi direi che lo scarto dall’amministrazione Lavagetto a quella di Ubaldi è stato un bene per la città.
Del resto io e i miei compagni di allora eravamo del tutto consapevoli di quello che stavamo facendo, nonostante la nostra giovane età (aimé fuggita, lente lente currite equi noctis!). La situazione era questa. Allora ero consigliere provinciale, membro della segreteria del defunto PDS e soprattutto il coordinatore della sinistra giovanile. La sinistra giovanile di allora era un gruppo di ragazzi eterogeneo e turbolento, sia all’interno che all’esterno, che aveva saputo farsi conoscere in città e anche a livello nazionale attraverso una serie di iniziative per l’epoca del tutto originali: “Porno con le ali” che indagava i risvolti sociali e politici della pornografia; le interviste a Luther Blissett; una seguitissima “Scuola di politica” durata un anno intero con la collaborazione dei prof. Serravalli, Manghi e Papagno e coordinata ingiustificatamente da me (allora non mi rendevo conto di quanto ero giovane); per non parlare dell’iniziativa più riuscita, nata da una battuta di Daniele Varacca (oggi professore del CNRS a Parigi e mio vicino di casa) e prontamente trasformata in happening in piazza Garibaldi.
Il grido era “Mantova Ladrona!” per l’indipendenza del Ducato dai parassiti Lombardi, primo esempio di estremizzazione goliardica delle posizioni della Lega Nord che in quei giorni teneva uno dei suoi referendum; partecipò anche il mio idolo Jimmi Ferrari, il caso girò e ci portò al volo a Roma alla trasmissione di Santoro… eravamo tutti vestiti da Longobardi! Fu uno spasso ma il tema era molto serio e debitamente articolato.
Dico questo per richiamare il quadro di quello che facevamo allora: tutte iniziative “aperte” alla città, in modo diretto, svincolate dai linguaggi tradizionali, senza mediazioni di cartelli, partiti o “cappelli” istituzionali. Cercavamo sempre di legare politica ed emozione, impegno e divertimento. Come potevamo essere in sintonia con l’amministrazione comunale di allora?

L’amministrazione di Lavagetto proprio non vi piaceva?
L’amministrazione Lavagetto aveva scontentato il suo stesso elettorato per plurime ragioni; tentai a lungo di intervenire internamente al centrosinistra per scongiurare una ricandidatura, ma fu inutile.
Allora tirammo fuori dal cilindro l’operazione Tommasini. Che a livello della comunicazione e dell’organizzazione fu interamente nelle nostra mani, dall’inizio alla fine. Purtroppo quando si trattò di arrivare all’accordo post elettorale con Ubaldi (che era la conclusione ovvia dell’operazione) Mario si tirò indietro. Ahi, la genetica… Tommasini, bellissima persona (che rimpiango ancora più umanamente che politicamente) era pur sempre un figlio del PCI. Ma anche noi avevamo forse preteso troppo da lui, un uomo con tutta quella storia alle spalle! È inutile chiedere ad un uomo di settant’anni di fare una politica da ventenne. Comunque il cambiamento ci fu e questo è l’essenziale. La nostra città ci ha guadagnato e questo è il senso che noi davamo alla politica.
Dico noi perché io non sono stato solo a combinare tutto questo bailamme. Voglio fare i nomi dei piú attivi tra i miei compagni di allora: Daniele Varacca, Stefano Boselli, Giuseppe Longinotti, Katia Torri, Alessandra Cassar. La federazione politica giovanile più anarchica che il paese abbia conosciuto….
Per alcuni anni fummo molto uniti e ci divertimmo un bel po’. Poi ognuno a preso una strada diversa, ma è anche normale: eravamo ragazzi.

Secondo te la sinistra di Parma è messa peggio oggi o nel 1998?
Dicevi prima che la sinistra parmigiana è stata messa al bando dal comune per almeno 15 anni… di chi la colpa? Di Ubaldi? Di Tommasini? Sono stato io, come provocatoriamente suggerisci tu? Direi che piuttosto la colpa è proprio della sinistra parmigiana che da 20 anni persegue politiche settarie. Probabilmente sarebbe bastato cambiare energicamente la dirigenza (tutta) e affrontare con mordente l’agenda politica. Certo, non sono stati aiutati dal fatto che Ubaldi ha amministrato in modo convincente (cfr i dati della sua rielezione).
Il centrosinistra parmigiano ha espulso da sè tutti i suoi elementi migliori negli ultimi vent’anni, cosa può restare? E tutto questo perché? Per paura. I tre o quattro dirigenti non vogliono confrontarsi da vicino con nessuno che porti una idea forte o che abbia un poco di personalità, perché sanno che il passo successivo al confronto sarebbe obbligatoriamente… cedere la poltrona.
I dirigenti della sinistra parmigiana sparano su tutto quello che si muove, soprattutto al loro interno. La filosofia che esprimono è: meglio capi dell’opposizione che capi di niente. Questa filosofia (che è suicida a lungo termine) è stata avanguardia a Parma.
Invidioso dei successi parmigiani, Veltroni la sta applicando alla lettera a livello nazionale… con venti anni di ritardo!

Che effetto ti fa vedere il tuo compagno di tante lotte Lorenzo Lasagna, con cui hai condiviso anni di militanza nella Federazione dei Giovani Comunisti (FGCI), in giunta con Pietro Vignali e al fianco di tanti assessori di Forza Italia… per non parlare di uno anche di AN?
Sei male informato, i periodi di militanza politica di me e Lasagna non hanno coinciso. Non essendo mai stato marxista io non mi sono mai iscritto alla FGCI (da giovane ero un po’ schematico), aderii e militai nel PDS, credendo al progetto riformista di Occhetto, in anni in cui Lasagna non faceva politica attiva.
Conosco invece Lorenzo da quando eravamo adolescenti ed è vero che siamo stati molto vicini negli anni cruciali della nostra formazione filosofica e letteraria. È vero anche che indirettamente è lui che mi ha “iniziato” alla politica, attività che da ragazzo, avendo un’indole contemplativa, non mi interessava granché. Lorenzo mi ha fatto intuire, attraverso interminabili discussioni, il valore cognitivo della prassi. Va beh, si va sul difficile. Comunque avevamo 19 anni. E Lorenzo era già una delle persone più colte e vivaci che avessi conosciuto. Che effetto mi fa vederlo avere incarichi come amministratore? Mi fa piacere per lui e per la città.

Certo che vederlo seduto di fianco a Forza Italia e Alleanza Nazionale…
Quando abbordai la politica, nel 1994, credevo un po’ nel valore delle bandiere. Molto presto, verso i 25 anni ho smesso di considerare le bandiere in quanto tali, siano esse rosse bianche nere o blu, e tanto meno quanto più vengono energicamente sventolate. In questo paese le identità politiche sono state strumentalizzate a tal punto da perdere ogni significato. Da allora mi interessano solo i progetti concreti, i programmi e il modo in cui questi vengono applicati.
Politicamente io ho sempre le aspirazioni di un riformista laico, ma non è certo una bandiera che mi da garanzie di riformisticità e laicità, anzi. Non sono le persone a essere riformisti, ma sono le azioni, sono le cose, le politiche concrete. Fino a tutti gli anni novanta i partiti nazionali ci hanno massacrato continuando a sventolare bandiere prive di contenuto per fare comodamente alla loro ombra i fatti propri. Prime bandiere inflazionate quelle del comunismo e dell’anti-comunismo. Già nel 95 ridevo e mi chiedevo: “Ma di cosa stanno parlando? Dicono comunisti e fascisti, e si spartiscono l’urbanistica a fette?”.Queste cose non si fanno quasi mai a caso, quando si sventola una bandiera, e non la si vuole mettere un attimo da parte per parlare di questioni concrete, quasi sempre c’è una classe dirigente o una leadership che si sta difendendo.
Tutto li. E tanto più la leadership è debole, tanto più sventola.

Per le informazioni che ti arrivano in Francia, che opinione ti sei fatto dell’amministrazione Vignali?
Dovrei vivere in città giorno per giorno per avere un giudizio fondato.
Da dieci anni ormai vivo in Francia e mi occupo di tutt’altro, dei miei ristoranti, della mia musica e dei miei fumetti. Non ho più lo sguardo quotidiano sulla città.
Però la giunta Vignali ha ai miei occhi un pregio oggettivo: è giovanissima. Esperimento quasi eccezionale in un paese gestito da plurisessantenni pluripensionati plurigarantiti. In altri paesi è normale che gli amministratori locali abbiano 30 anni e i primi ministri 40. Da noi la normalità diventa eccezione. Ben venga, sperando che l’eccezione faccia scuola.
Per quanto riguarda Pietro Vignali era con me in consiglio provinciale e già allora, benché molto giovane, era un tipo serio e rigoroso. Non avrà certo perso queste qualità.

Alla luce della tua esperienza maturata all’estero in questi anni, vedi Parma una città un po’ provincialotta? Cosa le manca per diventare una città davvero europea, al di là della retorica dell’EFSA o di altre istituzioni più o meno auto-referenziali?
Se proprio vuoi la mia opinione io comincerei col fare un po’ di chiarezza: Parma è “di fatto” una città di provincia. Per ubicazione, per dimensioni e massa critica. Certo è una provincia ricca e dinamica. Rispetto ad altre città di provincia ha una serie di qualità notevoli. Una offerta culturale unica se paragonata alle dimensioni della città. Servizi sociali e sanitari di buon livello. E poi gode nel mondo di una specie di sovra-rappresentazione che non cessa di stupirmi. Grazie a Henri-Marie Beyle, è una piccola città famosa. Nessuno all’estero crede che Parma abbia solo 170 mila abitanti.
L’essere “provinciali” è limitante per alcuni aspetti ma ha delle sue potenzialità specifiche che i grandi centri non hanno. Certo se Parma vuole entrare in competizione “alla pari” con città come Parigi, Londra e New York, ragazzi, la partita è persa. Invece deve puntare ad essere un luogo di scambio virtuoso dei grandi movimenti europei, interfaccia locale delle sensibilità e luogo di sperimentazione. Questa sì è un’ambizione alla sua portata.
Parma deve essere fiera di quello che è già riuscita a fare. Non cedere alla tentazione tutta parmigiana di “sognare l’altrove”. Puntare sulle proprie qualità e limitare gli inevitabili difetti.
Sai la differenza tra fierezza e orgoglio? Io l’ho imparata da un amico, Gérard Bérreby (creatore delle Editions Allia), che ci tiene a queste distinzioni. La fierezza nasce dalla conoscenza di sé e anche dei propri limiti, accettati come tali; l’orgoglio nasce dal non accettare i propri limiti e dal voler essere altro da quello che si è. Ai parmigiani auguro di essere sempre fieri e mai orgogliosi. È un primo passo verso la felicità, relativa, che il mondo può offrire.

Il Partito democratico è stato un’innovazione della politica italiana o l’ennesimo suo fallimento?
È sicuramente un’innovazione, visto che ha anche costretto Berlusconi a reinventarsi un partito in fretta e furia. Quanto alla riuscita dell’operazione… Ci rendiamo conto che praticamente lo stesso gruppo dirigente della Bolognina di Occhetto ha fatto e disfatto tre partiti, dal PCI al PDS, poi DS, poi PD, senza mai porsi l’ovvia questione del cambio di dirigenza? Solo rimpasti e staffette, come al municipio di Roma il balletto Veltroni-Rutelli-Veltroni-Rutelli. E si è visto come è finito.
Il Veltronismo per la sinistra (e quindi per il paese) è una iattura. Beppe Grillo e i movimenti protestatari degli ultimi anni avevano offerto un assist gigantesco alla sinistra, che in alcuni momenti era sola davanti alla porta. E la sinistra che fa? …si volta e si china per allacciarsi le stringhe delle scarpette? L’Europa guarda e allibisce. Di Pietro si tuffa e manda in calcio d’angolo (ha il piede a banana).

Quindi cosa dovrebbe fare il Partito Democratico?
Dovrebbe fare un cambio generalizzato della sua dirigenza, con un criterio fondamentale, nessun dirigente deve avere più di 55 anni. Anche troppi và, per una scelta radicale. Certo questo non dà la garanzia di una dirigenza migliore, ma quando si sta andando a sbattere contro le rocce bisogna virare energicamente, poi magari si aggiusta il tiro. E poi almeno si eviterebbe la sindrome da “canto del cigno” dei nostri dirigenti nazionali; è una cosa di cui non si parla, ma psicologicamente, un paese in mano agli ultra settantenni…
La destra sembra piú compatta ma ha il problema dell’anomalia Berlusconi. È inutile girarci intorno: sia che lo si veda come un gangster, come fanno molti, sia che lo si veda come un uomo della provvidenza, come fanno tanti altri (tra cui lui stesso), resta un’anomalia per la destra italiana, e quindi per il paese.
Dite di no? Non mi direte che un “uomo della provvidenza” è una cosa normale in una democrazia matura! Vabbé, tanto quello mica si schioda, e i suoi alleati mica possono permettersi di prendere questo rischio … ci penserà la natura prima o poi. Ma attenzione: chi odia Berlusconi, tema soprattutto il dopo-Berlusconi. È il sistema clientelare bipartisan che andrebbe smantellato.

Ma da chi?
Dagli stessi dirigenti che devono il loro posto a questo sistema? Figuriamoci. Solo una solenne incazzatura popolare potrebbe farlo. E magari un sistema sindacale dinamico e moderno. Ma anche i sindacati attualmente vivono la sindrome del canto del cigno. Ho incontrato vari sindacalisti di 30 anni, in gamba, preparati, pieni di master, che parlano tutti quattro lingue, viaggiano tutta Europa; sono messi in scacco e imbavagliati da una dirigenza arcaica e impreparata, con schemi mentali fermi agli anni sessanta.
Il più simpatico l’ho conosciuto in treno, non molto tempo fa. Auspicherei che il segretario di un sindacato non potesse avere più di 40 anni. Sono anche troppi: se non hai niente da dire a quarant’anni non avrai certamente qualcosa da dire a 60, che diamine!

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