
In questa campagna elettorale Pietro Vignali, a mio giudizio, ha dimostrato punti di forza e punti di debolezza abbinati a errori.
Il bicchiere è mezzo pieno se si guarda alla percentuale elettorale della lista civica “Vignali sindaco” (13%), la seconda in città dopo il Pd, più di quella “Michele Guerra sindaco”.
Vignali si è battuto con lealtà senza lasciare nulla di intentato, ha richiamato alle armi tutto quello che poteva richiamare, ha dimostrato competenza e una profonda conoscenza della città.
Ci ha provato. Si è misurato. E’ andato a vedere le carte sue e quelle di Guerra. Solo quando la marea scende scopri chi stava nuotando nudo.
Ma nonostante l’ottimo risultato della sua lista, Vignali ha raccolto un complessivo 21% al primo turno e un 34% al secondo. Poco in entrambi i casi, il peggior risultato al ballottaggio in Italia.
La conclusione logica è che Vignali abbia indubbiamente (ancora) una sua forza personale come pochi altri a Parma, ma sia una candidatura divisiva, circoscritta ai fan pur numerosi che siano, che oggi non allarga nè nel centrodestra tantomeno nel centrosinistra. Se si sommano le percentuali di Vignali e Bocchi (FdI) il centrodestra di Parma ha ottenuto il 29%, sotto le attese se si pensa che quella coalizione alle regionali di soli due anni fa con Lucia Borgonzoni in città prese il 42% (vincendo in tutti gli altri Comuni della provincia con l’eccezione di Collecchio).
Nei voti della lista Vignali quelli di centrosinistra si contano sulla punta di una mano, non c’è stato valore aggiunto, quei consensi sottratti a Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia sono stati un rimescolamento delle carte dentro lo stesso mazzo. Vignali si è quindi sopravvalutato o è rimasto fermo alle campagne elettorali degli anni ’90 e dei primi anni 2000 nelle quali Ubaldi si proponeva come civico puro che per vincere nascondeva i partiti di centrodestra e andava a rubare voti in molti ambienti di sinistra.
Mentre Michele Guerra in tutti i comunicati stampa si presentava come “candidato civico del centrosinistra”, Vignali si firmava ossessivamente come “candidato sindaco civico”. Lega e Forza Italia che lo appoggiavano non sono esisti nella comunicazione vignaliana. La Lega aveva accettato le regole del gioco e nei suoi comunicati non citava quasi mai Vignali. Nelle pubblicità elettorali Vignali appariva con i simboli delle sue liste civiche, mai con quelli dei partiti.
Ma se tu non strappi un voto al centrosinistra e prendi le distanze dai partiti di centrodestra, quale beneficio pensi di ottenere?
Di certo con il senno di poi, Vignali doveva credere di più nel centrodestra, e il centrodestra doveva credere più in se stesso.
Un altro errore di Vignali è stato accentrare troppo il dibattito sulla sua persona, su quello che aveva fatto da sindaco, sulla negazione del debito, sulle sue questioni giudiziarie nelle lettere spedite a casa dei parmigiani o in risposta alle note del centrosinistra, riportando il dibattito indietro di quindici anni fino alla noia.
Il risultato è che agli occhi di tanti elettori la candidatura di Vignali è apparsa come una battaglia di riabilitazione e di rivincita personali che evidentemente ha interessato e mobilitato poco la città e alla quale Michele Guerra ha risposto con un lapidario “Scelgo il futuro”.
A nulla al ballottaggio è servito l’appello immancabile contro il ritorno terrificante della sinistra che era stato decisivo negli ultimi quindici anni, l’evocazione sempreverde di Bologna matrigna, di Bonaccini che mette le mani sulla città. Neppure la polemica sul mancato faccia a faccia in piazza tra le urla delle varie tifoserie sperando che quello scontro gladiatorio potesse cambiare qualcosa a vantaggio di chi era indietro di più di venti punti.
Non sarebbe cambiato niente.
Il giudizio su Vignali-uomo la città lo aveva già maturato, per me di rispetto.
Ma aveva dato anche quello politico, di non rimpiangere il passato.
Per concludere, non si può non riconoscere l’onore delle armi a Vignali che si è messo in gioco con coraggio in una competizione per lui in partenza piena di incognite e di rischi. Si è rivelato l’unica opzione disponibile per un centrodestra diviso che si è presentato a due mesi dalle elezioni completamente impreparato, presente a volantinare nei banchetti al sabato pomeriggio in via Mazzini ma, come scrissi in tempi non sospetti, fuori dalla città.
Andrea Marsiletti