“Se toccherà a me, lavorerò per la riforma della giustizia”

SMA MODENA
lodi1

28/12/2012
h.18.40

Se toccherà a me, spenderò molta energia per la riforma della giustizia
Veniamo da anni di proclami di riforme epocali sulla giustizia, tradotte sul piano operativo dal traccheggio di leggi ad personam, spesso talmente inique e male assortite da non reggere al vaglio della Corte Costituzionale.
La macchina è ingrippata: basta pensare ai tempi eterni dei processi, che di fatto negano – e non danno – giustizia e che, nel settore penale, determinano troppe prescrizioni, lasciando spazi ad un inaccettabile senso di impunità e alla logica dell’arbitrio.
Si è prodotta una anomalia italiana con la scomparsa del falso in bilancio, le prescrizioni lampo per gli amici e pene draconiane per i delinquenti di strada, la morte di processi dopo l’avvio delle indagini ed addirittura dopo condanne in primo e secondo grado.
La riforma della giustizia è essenziale per un’Italia davvero europea e affidabile per gli Investitori, ma è decisiva per i Cittadini e per le Imprese.
Occorre salvare un sistema giudiziario al collasso e rimuovere un’ipoteca sullo sviluppo che ne è la conseguenza, permettendo all’Italia di esercitare un ruolo consono in Europa.
In Italia si impiegano 1210 giorni per recuperare un credito, la durata dei giudizi civili aumenta ed i tempi medi di definizione complessivi sono di sette anni e tre mesi nel civile e quattro anni e nove mesi nel penale, 740 giorni per giudizi di separazione. Nel 2010 ci sono state 49596 richieste di risarcimento per la lentezza dei processi e 81 milioni di euro di pagamenti. I costi per le Imprese per la lentezza della giustizia sono stati stimati in 2,3 miliardi di euro.
Il governatore di Bankitalia stima tale costo in un 1% di PIL ogni anno. Nel 2012, l’Italia risulta al 158esimo posto nella classifica della Banca mondiale relativamente a costi e tempi della giustizia civile.
Ancor più crudo il bilancio in termini di autorevolezza e credibilità dello Stato.
E su questo tessuto proliferano le infiltrazioni mafiose per lucrare o dirimere in altro modo le controversie.
Può una società e può un sistema economico accettare che “si chieda giustizia” per eludere i propri obblighi, confidando nei tempi eterni dei processi per sottrarsi ai pagamenti? Assolutamente no.
La sfida è grande, se non grandissima.
Lo scenario è quello del confronto – e non della contrapposizione – tra Governo, Parlamento e Magistratura: un confronto che, ferma l’autonomia e l’indipendenza del giudice, non deve avere tabù.
Centrale sarà il tema della riorganizzazione della macchina della giustizia, oggi legata ad un modello arcaico e penalizzata da una cronica, quanto inaccettabile, carenza di personale, al pari di quello della strutturazione dell’Ufficio del Giudice, al quale dovrà essere consentito di avere collaboratori professionali.
Occorre insistere sulla riforma delle circoscrizioni giudiziarie, razionalizzando e migliorando l’affrettata riforma Severino, eliminando sedi distaccate e Tribunali troppo piccoli e ripensando invece l’efficacia delle Corti d’Appello, a partire da quella di Bologna, unica per la regione, in cui le cause vanno in decisione al 2019, riprendendo la battaglia per l’istituzione anche a Parma.
Vi sono vuoti di organico in magistratura e nel personale amministrativo (4000 unità), oltretutto malamente distribuiti sul territorio.
Le condizioni delle carceri sono tristemente note a causa dell’inaccettabile sovraffollamento, con il 40% di detenuti non condannati in via definitiva, provenienti in gran parte da situazioni di disagio e di emarginazione, mentre i detenuti per reati economici o contro la pubblica amministrazione sono meno di venti; vi è stata, inoltre, la riduzione del personale di polizia penitenziaria.
La cultura del garantismo deve valere soprattutto per i più deboli e non tradursi in sinonimo di impunità per i potenti.
I tempi certi della decisione, ben oltre l’attuale pseudoregolamentazione legale, dovranno essere adeguatamente regolamentati, corresponsabilizzando Giudici e Avvocati e riformando i codici in modo da rendere più snello e veloce l’iter.
Razionalizzare i processi che vengono radicati va realizzato non continuando ad innalzare i costi per l’accesso, ma affrontando i fattori che generano la domanda di giustizia.
Qualsiasi processo deve terminare con la sentenza e non in virtù di meccanismi (quali il c.d. filtro dell’appello civile o la prescrizione ultraquinquennale del processo amministrativo) che, nel quadro di conclamate lentezze (e senza assumere alcuna misura per superarle), vanificano il diritto (di azione) dei Cittadini di avere Giustizia.
Vanno effettuati interventi puntuali per razionalizzare e snellire notifiche e processi contumaciali.
Occorre istituire un tavolo di confronto tra avvocatura e magistratura.
Il Partito Democratico, con il mio impegno a sostenerli, ha già proposto l’abolizione della prescrizione breve prevista per categorie e non per tutti dalla famigerata legge ex Cirielli, ha proposto l’abolizione del reato di immigrazione clandestina che punisce persone per il loro status e non per il loro comportamento, l’introduzione del reato di tortura ed è impegnato nella vigilanza e rafforzamento della lotta alla corruzione, anche rimuovendo le condizioni che la facilitano quali le gestioni speciali e stabilendo un rigido regime delle incompatibilità.
Dalla riforma dovrà venir fuori una giustizia efficiente, tempestiva e di alto livello grazie ad un contesto legislativo chiaro su ruoli, responsabilità e tempi di decisione.
E’ una sfida difficile, ma nella prossima legislatura, per molti versi costituente, l’Italia ha il diritto di uscire da questa paralisi e la politica ha il dovere di dare questa risposta.
Diritti della Persona, diritti dei Lavoratori e diritti dell’Impresa saranno davvero tutelati, solo se ritornerà la certezza del diritto. E questa non si riconquista altrimenti.

Giorgio Pagliari

(candidato alle primarie del Pd di Parma)