29/01/2013
h.17.40
L’inchiesta aperta dalla Procura della Repubblica, denominata public money, conferma sempre più nel merito ciò che le analisi e le denuncie condotte da diversi settori della società civile dicevano da tempo: l’aggressività e la vastità capillare del programma delle giunte guidate da Ubaldi e Vignali nel corrompere la macchina municipale fino a trasformarla essenzialmente in macchina di rapina del pubblico denaro e di indebitamento dell’erario a fini speculativi privati, e il ruolo giocato in tale sistema dalla pletora delle 32 società partecipate, amministrate da manager delinquenti, incaricati d’aprire i pubblici forzieri ai razziatori privati fuori dalle stanze del Comune. Un immane saccheggio che, al 31 dicembre 2011, aveva prodotto 867 milioni di debiti, di cui più di 500 dovuti alle società partecipate.
Con questo nuovo fronte d’inchiesta, la Procura ha ormai chiamato sul banco degli imputati i rappresentanti di un po’ tutti i gruppi protagonisti di questa epopea: imprenditori privati, immobiliaristi, sindaci, assessori, dirigenti comunali, amministratori delle partecipate. Ne manca ancora uno, che le denunce dei cittadini invece non risparmiano: le banche, che hanno consentito di proiettare la rapina sul futuro della città, prestando all’amministrazione comunale e alle società partecipate un’enorme quantità di denaro per finanziare giusto le grandi speculazioni, senza neppure avere dalle giunte di Ubaldi e Vignali le sufficienti garanzie previste di legge, ma accontentandosi di rifilare al Comune e alla sue partecipate prodotti finanziari derivati del tipo di massimo rischio, che hanno assicurato lauti profitti agli istituti creditizi e l’aumento ingovernabile del debito pubblico.
E’ l’ultimo grande potere non ancora lambito dalle indagini delle toghe parmensi, sebbene le carte documentino come e quanto le banche abbiano partecipato e beneficiato di questo sistema di arricchimento abusivo e speculativo dei singoli a spese della solidità economica e del funzionamento pubblico del Comune, come siano stati i loro stanziamenti, le loro concessioni di mutui e prestiti, a consentire la prevalenza degli interessi e dell’ingordigia di gruppi ristretti in tutti gli ambiti della società: l’economia, l’editoria, la politica, l’impresa, i servizi. Ma la circostanza più preoccupante è che le responsabilità delle banche non siano minimamente lambite nei discorsi della nuova giunta grillina.
In effetti, non sono tanto le manette scattate ai polsi dell’ex sindaco Pietro Vignali e di due dei suoi più efficienti colleghi, a rendere plastici i caratteri del quadro emergente e le sue analogie con la situazione nazionale e internazionale. Piuttosto è la concomitanza fra la recente inchiesta sulla vecchia giunta, che colpisce il capo, e l’approvazione del bilancio di previsione sfacciatamente filo-bancario presentato dalla nuova giunta. Un bilancio che il sindaco Pizzarotti e l’assessore Capelli hanno presentato in pubblico un paio di settimane fa in modo sconcertante, concedendosi perfino un apprezzamento ai bilanci della giunta Vignali, ma soprattutto replicando lo schema della propaganda politica del governo nazionale e di quelli planetari espressione della grande finanza speculativa: invece di ammettere che la crisi parmense ha origini recenti, ha responsabili di cui vanno individuati nomi e cognomi, ha la sua causa principale nella depredazione dei beni comuni e nell’indebitamento finanziario, invece di dare i dati completi dell’entità del dissesto, hanno spacciato ai concittadini che la crisi economica planetaria ha causato il debito, il debito impone i sacrifici ai cittadini, i creditori da soddisfare con maggiore urgenza sono gli istituti bancari, che diversamente potrebbero decidere di chiudere il credito al Comune, per lo stesso motivo non si può eccepire la legittimità del credito che le banche vantano verso le società partecipate, qualsiasi sia stato l’impiego di quei finanziamenti, ed è con le banche creditrici che il Comune deve andare a concordato preventivo se vuole liquidare le partecipate ormai di fatto fallite, i tempi per ripianare questi debiti sono stretti, i sacrifici devono essere concentrati e draconiani.
Non una parola sulle responsabilità delle banche, sui derivati da loro venduti al Comune, sulla necessaria inchiesta interna al Municipio per avviare un’azione di responsabilità contro i politici, i dirigenti pubblici e i manager infedeli. Insomma, mentre la guardia di Finanza accompagna in Procura Vignali e i suoi accoliti, il sindaco Pizzarotti e l’assessore Capelli ammanniscono ai cittadini la storiella che non sono i debiti speculativi ad avere causato la crisi di Parma ed averla proiettata sulla vita dei parmensi nei prossimi decenni, bensì il contrario, cioè sarebbe la crisi globale ad avere causato i dissesti e i debiti della città. La stessa bufala che viene propinata a Roma, in Grecia, in Spagna, dove serva la sanatoria dei reati finanziari e speculativi che hanno portato al tracollo le economie pubbliche.
Questa bugia a Parma è stata già smascherata dalla piazza, che contrappone all’orientamento politico ed economico dell’attuale giunta una forte mobilitazione popolare, quella stessa che ha spazzato via la giunta Vignali, in difesa dei diritti, garanzie, tutele.
Come è possibile procedere al riordino dei conti pubblici, omettendo l’accertamento delle responsabilità nella formazione del debito? Da un anno a questa parte i cittadini chiedono di procedere all’accertamento delle cause che hanno prodotto il debito pubblico parmense di 867 mln di euro, premono affinché ne vengano acclarate la composizione e le responsabilità, sollecitano la nuova Amministrazione comunale ad aprire un’indagine volta ad accertare quanta parte di debito pubblico sia illegittima e odiosa, cioè sia stato acceso senza la consapevolezza della cittadinanza e a suo danno, e dunque renda inaccettabile il suo rimborso attraverso una politica di rigore caricata sulle spalle dei cittadini, senza perseguire i responsabili. Particolarmente grave appare la scelta del competente assessore di redigere un bilancio che si fondi su dati non sottoposti a tale indagine conoscitiva. Tale omissione e del tutto coerente al fatto che il Bilancio di previsione per il 2013 abbia assunto pedissequamente le inique linee guida del piano di risanamento predisposto dal commissario prefettizio Ciclosi prima delle elezioni amministrative.
Voler a tutti costi ripianare il bilancio e giungere al suo pareggio, tagliando la spesa sociale, aumentando le entrate, cioè introducendo nuove imposte, innalzando ai tetti massimi le tasse esistenti e le tariffe, svendendo tutto il vendibile del patrimonio comunale (si pensi al Romanini, alle farmacie comunali, a TEP, alle quote pubbliche di STU Pasubio, alle azioni IREN ancora possedute), firmando tutte le concessioni possibili per continuare la cementificazione del territorio, tutto ciò per fronteggiare i tagli dei trasferimenti dallo Stato e le pretese delle banche creditrici, significa difendere gli interessi della finanza e degli istituti bancari collusi nel disastro, ammazzare socialmente e fisicamente la città e il suo territorio, deprimere le condizioni di vita di buona parte degli uomini e delle donne che vi abitano, innescare un forte effetto regressivo, sterilizzare le speranze di ripresa produttiva.
L’ipotesi di costituirsi parte civile e di istituire una commissione di indagine, ventilata dalla nuova Amministrazione solo dopo aver visto le manette ai polsi di Vignali, appare tardiva e forzata dagli avvenimenti. A maggior ragione tale decisione comporta che i presupposti su cui è fondato il Bilancio di previsione 2013, cioè che siano i cittadini a farsi carico del debito, debba cadere: il debito ha dei responsabili, che sono stati solo in parte individuati; su costoro, insieme con coloro che ancora sono protetti dalle pieghe dell’anonimato, deve ricadere l’onere del ripianamento del debito e non sulla cittadinanza intera.
CHIEDIAMO PERTANTO ALLA GIUNTA COMUNALE ED AI CONSIGLIERI COMUNALI DI:
– rinviare l’approvazione del Bilancio di previsione, usufruendo della proroga accordata dal Patto di stabilità, allo scopo di ridefinirne la linea strategica, mettendo in primo piano il progetto di rinegoziazione dei debiti contratti presso le banche, valutando anche, come fatto da altri enti pubblici, il ricorso alla sentenza di Milano;
– istituire immediatamente un’unità di crisi che affronti la questione del lavoro, sulla quale l’amministrazione comunale può incidere in maniera determinante: basti pensare che con i nuovi assetti dell’assistenza agli anziani e con le ristrutturazioni del settore educativo, affidati a cooperative ed enti privati, sono centinaia i posti di lavoro che andranno perduti;
– rivedere completamente i capitoli dedicati ai tagli alla spesa sociale e all’incremento delle tariffe e delle tasse, per impedire che settori sempre più larghi della popolazione scivolino verso la povertà;
-predisporre un piano complessivo di ristrutturazione del sistema partecipate, secondo criteri di tutela degli interessi pubblici e non di quelli bancari. Ad esempio, sarebbe strategico chiedere il fallimento di SPIP, in alternativa al concordato preventivo perseguito dal Comune, per liquidare questa società partecipata che da sola ha umulato un debito di circa 105 milioni (dati al 31 dicembre 2011), pari a circa un ottavo del debito totale del Comune, ma non verso fornitori o imprese, bensì quasi completamente verso le banche finanziatrici delle speculazioni clamorose condotte dai manager di Spip in favore di immobiliaristi e proprietari privati. La spesa di 2,8 mln di euro che il Comune è pronto a destinare nuovamente alle banche per la procedura di concordato, può essere così risparmiata e destinata ad altri scopi. Ricordiamo che la medesima cifra è stata tagliata dai fondi per la spesa sociale;
– far luce sui prodotti derivati detenuti dalle diverse società partecipate e di procedere, come è già stato fatto da diversi enti pubblici, ad azioni di responsabilità che mettano fine al ricatto della lievitazione del debito.
Coordinamento politico de “La Piazza”