Reportage p2 – Cancelli e filo spinato: il muro che divide Belfast è ancora in piedi. FOTO

Reportage BELFAST – Il muro di Berlino non c’è più, ma nel mondo ne sono in piedi e funzionanti tanti altri: la barriera tra USA e Messico, tra le due Coree, tra Israele e Palestrina, tra Iran e Pakistan, tra Bulgaria e Turchia… nel bel mezzo dell’Europa con la peace lines di Belfast. (leggi anche p1: La lotta dipinta sui muri di Belfast. FOTO)

Nella capitale dell’Irlanda del Nord un imponente sistema di reticolati, fatto di barriere in cemento armato alte fino a 8 metri, filo spinato, cancelli, strade interrotte, checkpoint militari, da più di 40 anni divide la comunità irlandese da quella filo-britannica. Tutto ebbe inizio nel 1969 nel quartiere di Short Strand, a est di Belfast, dove gli abitanti cattolici, per difendersi dagli attacchi dei lealisti protestanti, innalzarono i primi manufatti. Essi non servivano solo di impedire il passaggio tra una zona e l’altra ma anche, e soprattutto, per proteggere dal lancio di sassi, bottiglie molotov e altri oggetti. Il muro è diventato parte della vita dei cittadini, c’è persino chi mangia su un tavolino da pic nic sotto alla sua ombra inquietante (vedi foto). La maggioranza delle barriere è stata costruita nei primi anni dei Troubles, circa un terzo dal 1994 quando l’organizzazione paramilitare IRA dichiarò il cessate il fuoco.

Oggi solo il 14% degli abitanti dei quartieri a rischio è favorevole all’abbattimento dei muri.

La paece lines, spezzettata in circa cento parti, con una lunghezza complessiva a Belfast di 15 km, divide i quartieri più caldi della città. ovvero quelli che sono definitivi tecnicamente “i punti territoriali con forti connotazioni politiche, etniche e religiose“.

Guardando attraverso il cancello si scorge un altro cancello, distante circa una ventina di metri. In mezzo, una terra di nessuno.

Durante i Troubles di giorno si poteva passare ma col buio scattava il coprifuoco e le strade si sbarravano: i cancelli, sorvegliati dalla polizia e con sopra la scritta road closed (strada chiuso), si chiudevano e tutti ritornavano ai rispettivi quartieri di appartenenza, per evitare di ritrovarsi malauguratamente intrappolati nella parte sbagliata.

Alcuni cancelli vengono chiusi ancora oggi, come dimostrano i lucchetti nuovi di pacca.

Quando sei davanti alla scritta “road closed” respiri ancora l’odore delle bombe. Già, a Belfast le bombe continuano a scoppiare, l’ultima lo scorso 27 luglio, senza provocare vittime. Ma oggi se cammini sul marciapiede sbagliato dipinto con i colori nazionali inglesi o irlandesi nessun cecchino più ti uccide.

Camminando per Belfast avverti una tensione silenziosa fatte di bandiere: ti accorgi di essere entrato in un quartiere protestante perchè vedi sulle case e sui fili delle luce le bandiere inglesi, mentre sembra di essere a Dublino nei quartieri cattolici dove ogni cosa richiama l’Irlanda. Quest’anno ricorre il 40esimo anniversario della morte di Bobby Sands, militante dell’IRA che si lasciò morire di fame nelle carceri inglesi: nel cuore della “Belfast irlandese” questo evento è stato celebrato con l’esposizione di bandiere nere sulla facciata delle case. Passare di fianco a quelle bandiere nere con la scritta bianca “H” (Hunger, ovvero fame) fa impressione e capire quanto siano ancora forti i sentimenti identitari e di lotta. Le armi sono state deposte, ma le motivazioni di allora circolano ancora nelle vie popolari di Falls road, Springfield, Ballymurphy road.

Belfast è una città dove tutto diventa politica.

Vivere a Belfast significa dover scegliere, sempre, da che parte stare.

Andrea Marsiletti


REPORTAGE BELFAST

p1: La lotta dipinta sui muri di Belfast. FOTO

lombatti_mar24