“Sono intriso della grande ideologia dello Juchè”

26/09/2014

Christian Pivetta, delegato ufficiale Italia dell’Associazione Italia – Corea del Nord, racconta il suo viaggio di un mese nella Repubblica Popolare, il “Paese più inaccessibile al mondo”. ParmaDaily documenterà il viaggio con foto, commenti e opinioni sul campo di Pivetta condivisi con noi dal suo profilo Facebook. Cristian che ci dà l’opportunità di un reportage straordinario per i nostri lettori (e in generale per tutti gli italiani) e per questo lo ringraziamo di cuore. Il servizio giornalistico si concluderà con l’intervista di Pivetta per ParmaDaily. Andrea Marsiletti

UN FUORI PORTA IN COREA DEL NORD (guarda le FOTO!)

Come da programma alle ore otto in punto ci mettiamo in moto per raggiungere la località di Hyangsan presso i monti Myohyang per trascorrere come si direbbe a Milano “un week end fuori porta”.
La giornata è meravigliosa, il cielo azzurrissimo ed il sole è splendente. Colgo l’occasione per scattare qualche fotografia alle stazioni del metro lungo il percorso cittadino che ci porta all’imbocco dell’autostrada a nord di Pyongyang. Come sempre il traffico lungo l’autostrada è pressoché assente e durante il percorso avrò modo di essere illustrato dai compagni sui vari villaggi che si notano in lontananza e sui diversi complessi industriali presenti. Qui una fonderia, là una cartiera che produce gran parte della carta nazionale, un cementificio vicino alla miniera di estrazione della materia prima, ancora più in là un complesso chimico. Quello che si definiva il classico combinato industriale, forse oggi qualcosa di simile al chilometro zero, ovvero si costruisce la fabbrica vicino all’approvvigionamento delle materie prime, vicino alla centrale elettrica che è vicino alla miniera di carbone e così via. Un modo razionale e pianificato di “linea produttiva” atta a contenere al massimo il dispendio in trasporto.
Qui non esiste l’irrazionalità del caos capitalistico, che non pianifica dove è meglio costruire quel o questo impianto, poiché tutto viene lasciato al caso del singolo “bottegaio” di turno che decide dove, come e quando aprire, chiudere, spostare, assumere o licenziare in funzione delle proprie veiletà, umori o peggio ancora in funzione del “Dio mercato”.
Fateci caso, qualunque cosa ormai accade da noi è sempre colpa di entità sovrannaturali: o Dio o il Dio Mercato; il secondo ormai decide più del primo per cui la ditta per la quale lavorate chiude e lascia casa 1.000 persone? … il mercato; la vostra attività non rende più e fallite?… il mercato; la rata del vostro mutuo sale? .. il mercato. Ma io dico: è l’uomo che ci sta a fare sulla terra se non è in grado di decidere il proprio destino???
Credo di essere intriso di Juchè ancora prima di averne scoperto l’esistenza; ho sempre creduto che l’uomo è l’unico fautore del proprio destino e nulla deve e può essere lasciato al caso, pena il caos e l’anarchia totale. Studiare per 35 giorni il Juchè è stato per me studiare pensieri, idee, filosofie già insite profondamente nel mio modo di vedere e vivere le cose. Non ho mai trovato nulla di più identico al mio modo di ragionare e di pensare.
Il fatto è che invece qui in Italia, e non solo, qualsiasi cosa accade è sempre colpa del destino, del caso, di Dio, del diavolo, di quello o di quell’altro o del mercato ma mai una volta si ragiona sul fatto che se qualcosa accade è perché l’essere umano ha determinato le condizioni perché ciò avvenga. Faccio un esempio, se viene un terremoto e muoiono migliaia di persone, non è colpa della terra, di Dio, o della fortuna, ma è perché non si è provveduto ad adeguare tecnologicamente gli edifici con le possibilità che l’ingegneria moderna ha per renderli antisismici. Se un impianto produttivo tecnologicamente evoluto e moderno (fabbrica) chiude, o si sposta è perché le leggi economiche create (leggi del capitale e del mercato) non sono all’avanguardia per farlo funzionare. Quindi aboliamolo questo mercato e risolveremo molti dei nostri problemi.
Proseguendo il viaggio, in diversi tratti l’autostrada costeggia il fiume Chongchon; a più riprese ci imbatteremo in colossali cantieri in cui l’Esercito Popolare sta edificando delle centrali idroelettriche lungo il fiume, questo a sottolineare che la richiesta di elettricità in tutto il Paese è in forte aumento perché il tasso di sviluppo della Corea Popolare nel 2013 si è attestato al 14% e questo non certo grazie al mercato, ma ad un’attenta politica economica pianificata e governata centralmente dal Partito in cui il Piano Quinquennale è ancora l’unico strumento decisionale per una economia governata dall’uomo e non viceversa.
Quì, lo affermo inequivocabilmente, l’uomo comanda l’economia, la plasma e la forgia in base alle proprie esigenze. Da noi è l’economia che ci comanda e sempre più spesso ci stritola in un vortice che autoalimenta la distruzione. Guardate le periferie delle nostre città, un tempo ricche di complessi industriali piccoli e grandi, ora sembrano dei quartieri bombardati e rasi al suolo come se fossero passati dei cacciabombardieri ed avessero sganciato tutto il loro arsenale. Peccato che questo non è stato fatto da bombe dinamitarde, ma molto peggio (perché almeno dopo un bombardamento si tenta di ricostruire una fabbrica distrutta), da una massa di criminali governanti che in nome del “Dio Mercato” hanno optato per scelte, a loro dire, liberalizzatrici, che nella realtà dei fatti si sono verificate liberticide e distruttici, che hanno fatto sprofondare il nostro Paese indietro di 50 anni. E il peggio probabilmente deve ancora venire.
Finalmente siamo giunti tra i monti Myohyang, dove sono stati edificati, in tempi diversi, i due palazzi dell’amicizia internazionale.
Si tratta di due enormi edifici in stile coreano dove all’interno sono stati depositati, in uno tutti doni dedicati al Grande Leader Kim Il Sung, e nell’altro tutti i doni dedicati al Generale Kim Jong Il e Kim Jong Un. La mia speranza è sempre quella di riuscire a trovare i doni che ho dedicato ai Leader le passate volte. La guida che ci accompagna per la visita ai due edifici, mi prende subito in simpatia e farà tutto il possibile per rintracciare tra le centinaia di stanze, il locale dove i mie doni sono stati depositati. Mentre abbiamo un po’ di difficoltà a reperire il dono del 2009 che consisteva nella ricostruzione, attraverso le barrette magnetiche di geomag, della falce martello e pennello donato al Generale Kim Jong Il per l’anniversario della fondazione del partito del lavoro, dovuto al fatto che i doni sono catalogati in funzione di diversi parametri quali a chi sono stati indirizzati, se il donante era singolo o faceva parte di un’associazione, in base al titolo ecc., gli si illuminano gli occhi quando gli accenno del dono fatto al Rispettato Maresciallo Kim Jong Un nell’anno 2012; quando comprende che sono io l’artefice del famoso dono in cui diversi giornali e libri ne hanno parlato, mi informa subito che è emozionatissima nel poter conoscere la persona che ha dedicato questo particolare regalo al Maresciallo Kim Jong Un.
Questa volta mi porta a colpo sicuro subito nella stanza dove tale dono è preservato e mi informa che tale dono e il significato che esso rappresenta, ha commosso gli animi di moltissimi coreani ed in particolar modo pure il suo, manifestandomi tutta la sua ammirazione e soddisfazione nel potermi conoscere. Si tratta di un Radiometro, ovvero uno strumento storico ed artigianale che serviva per misurare l’intensità della luce quando la tecnologia moderna doveva ancora regalarci strumenti elettronici. E’ composto da una sfera di vetro con all’interno quattro palette disposte ad elica sotto vuoto spinto; ogni paletta ha un lato colorato di bianco ed uno di nero; la luce che viene assorbita dal lato nero, viene invece respinta da quello bianco. La differenza di potenziale energetico tra le due facce crea il moto che fa girare l’intero impianto; tanto più intensa è la luce che riceve e tanto più velocemente le palette gireranno. E’ uno strumento storico e scientifico al quale ho associato la brillante Corea come unica Nazione in grado di illuminare, attraverso il Socialismo realizzato, il resto del mondo che sprofonda giorno dopo giorno nelle barbarie e nel caos dell’anarchia capitalistica.
Terminiamo la vista dei palazzi con la sosta sul terrazzo affacciato direttamente sui monti, potendo godere di uno spettacolo mozzafiato sulla vallata che unisce i monti al fiume.
Ora ci spostiamo per una bel picnic lungo il fiume Chongchon; il compagno Jong Chol ci fa la sorpresa, considerato che mi erano piaciute un sacco la scorsa volta, di tirare fuori un sacco di vongoloni, comprati a Pyongyang, pertanto predisponiamo un piccolo braciere dove cuocere con il fuoco vivo le vongolone a me, e non solo, molto care. Nonostante la loro bontà ineguagliabile, devo constatare che quelle mangiate a Nampho erano sicuramente migliori per il fatto che erano state pescate poche ore prima e consumate sul luogo. In ogni caso eccezionali anche questa volta; uniamo al ricco banchetto di pranzo del pesce fresco, che pescato lì sul fiume viene trasformato in pochi minuti in un prelibato sushi fluviale accompagnato da una spettacolare salsa a base di Wasabhi. Ovviamente tutto accompagnato dall’immancabile Sozu che ci renderà ancora più allegri di quello che già siamo.
Si è alzato un venticello alquanto fresco decidiamo pertanto di metterci in strada per raggiungere l’hotel. Dopo circa venti minuti di auto raggiungiamo il Paese di Kuwollim nei pressi di Hyangsan dove ci attende un bellissimo hotel in stile coreano adagiato lungo le rive del fiume Chongchon dal quale ha preso il nome. Al primo piano mi viene assegnata la stanza che più che una stanza si tratta di un vero e proprio appartamento con ingresso, soggiorno, studio, camera bagno e balcone. Fin troppo per i miei gusti e decido di scambiarla con i compagni, che inevitabilmente rifiutano specificando che l’ospite sono io. Il programma prevede un lungo turno di riposo fino all’ora di cena; ma fuori c’è ancora il sole, e secondo voi io me ne sto rinchiuso in hotel? Non se ne parla neppure; appena ogni uno di noi si è ritirato nella rispettiva stanza, con il mio fare da gatto inizio ad esplorare il territorio circostante al perimetro dell’hotel fino al fiume che è posto appena dirimpetto. Tornato sul fronte dove è posto l’ingresso, piano piano un passetto alla volta riesco a dileguarmi lungo il viale principale di questo spettacolare paesino. Un viale molto largo, con il marciapiede separato da curatissime aiuole fiorite, dove il traffico è totalmente assente gli unici rumori udibili sono qualche bicicletta in transito e le voci di ragazzi che probabilmente stanno giocando in qualche cortile. Considerata la pace ed il tiepido sole ormai quasi al tramonto che mi avvolge proseguo lungo il viale di questo piccolo paradiso. Le casette tutte in stile coreano e probabilmente d’epoca sono collocate ordinatamente ai lati, certamente più curate e ben tenute di quello che uno si aspetta di trovare in un remoto villaggio di campagna.
Circa a metà del viale un grande cancello di ferro con al centro una stella rossa separa un ampio cortile dalla strada, ma la porticina di servizio più piccola è aperta; mi affaccio, una piccola guardiola con il personale della guardia rossa sorveglia più che l’ingresso, il risultato dei punteggi delle due squadre che stanno giocando a pallavolo. Uno stuoio di persone tifano chi per una e chi per l’altra squadra. Dall’altro lato del cortile altre persone sono occupate al gioco della fune mentre dei ragazzi più giovani si affrontano al gioco dei sacchi. Vorrei entrare, vorrei riprendere il tutto, ma già la mia presenza sull’uscio del cancello desta qualche perplessità ai custodi del cortile, e la la richiesta di poter entrare viene gentilmente respinta.
Proseguo allora ancora più in là fino a giungere nella piazza principale del paese, dove sul lato sinistro trovo una grande statua in bronzo del Grande Leader Kim Il Sung da giovane; mi viene spontaneo avvicinarmi per compiere quello che è normale per ogni coreano, ovvero inchinarsi in segno di rispetto davanti alle statue dei Leader. Compiuto tale atto, nell’allontanarmi, vengo avvicinato da un agente della Guardia Popolare che mi invita gentilmente a riportarmi verso l’hotel. Certo qui non sono a Pyongyang dove tra tre milioni di abitanti e diverso personale di ambasciate straniere si riesce anche a passare senza farsi fermare dalla Guardia Popolare. Chiaramente in un piccolo paesino probabilmente di qualche migliaio di abitanti uno straniero occidentale desta da subito un certo sospetto.
Ricordo che ufficialmente la Corea Popolare è ancora in guerra con la Corea del Sud, e subisce un attacco mediatico e di sanzioni internazionali assurde ed ingiuste solamente perché è un Paese ancora socialista e non si piega alla globalizzazione ed internazionalizzazione dei mercati, della banca mondiale e del fondo internazionale. Se non ci fosse un controllo minuzioso su quello che qui i visitatori stranieri fanno, ci sarebbero già orde di mercenari assoldati e finanziati dagli Stati Uniti per andare in giro a destabilizzare e provocare il rovesciamento dell’attuale ordine costituito. Pertanto, nonostante possa risultare insolito accompagnare costantemente i visitatori stranieri in qualunque luogo, è pienamente comprensibile il motivo per il quale questa procedura sia ancora attualmente applicata. Quello che sta accadendo in questi giorni in Iraq, Ucraina, Libia ne sono la dimostrazione più tangibile.
Nel percorso di rientro verso l’hotel mi viene in contro Hun Hui Dongji probabilmente allarmata per la mia fuga solitaria. Proseguiamo assieme la visita al grazioso paesino, dove avremo anche modo di scattare una foto alla statua del Grande Leader Kim Il Sung.
Più avanti ci fermiamo da un venditore di gelati e come al solito la compagna me ne offrirà uno; credo di avere mangiato più gelati in Corea che in qualunque altro paese straniero.
E’ ora di rientrare per la cena che si terrà in un gazebo tradizionale coreano all’aperto dotato di pavimento riscaldato. Ci verranno serviti tutti piatti a base di erbe con proprietà medicinali che nascono e vengono raccolte solo in questo luogo. la compagna Hun Hui mi informa che è tradizione di tutti i coreano recarsi almeno una o due volte all’anno in questi luoghi per cenare a base di erbe medicinali. La varietà è tale da lasciare l’imbarazzo della scelta da dove cominciare e trova una varietà di sapori e gusti da poter soddisfare qualsiasi palato. Al di fuori di una tipologia, per i miei gusti, troppo forte, le rimanenti pietanze risultano essere veramente eccezionali dai sapori gradevoli e molto freschi; questa è un’altra delle cose che consiglio vivamente a chi desidera assaporare la cucina tradizionale coreana e raccomando a tutti coloro pongono particolare attenzione alla salute, alla depurazione od ai vegetariani e vegani.
La cena sarà anche ambito di lunghe chiacchierate sulla cucina italiana, coreana, sulla salute ecc. Ormai è quasi mezzanotte e con calma ci dirigiamo nelle rispettive stanze dandoci appuntamento per le ore dieci della mattinata seguente.
Buonanotte Choson!

Cristian Pivetta


REPORTAGE DALLA COREA DEL NORD
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