27/01/2010
h.10.20
Con l’ulteriore passaggio presso il CIPE, la costruzione del primo tratto della bretella autostradale Ti-Bre è ormai realtà. Come varie autorità si sono affrettate a dichiarare con i toni trionfalistici delle grandi occasioni, finalmente sarà assicurato alla nostra provincia un collegamento strategico: quello con Trecasali, per ora. Il costo dell’intera opera, una volta finanziata, graverà in parte sulla collettività, sotto forma di contributo statale (730 milioni di €) e per il resto sugli utenti di Autocisa (1.270 milioni di €), attraverso il meccanismo delle concessioni.
Così il destino della nostra pianura è definitivamente segnato. La Food Valley, che ci piace tanto rappresentare con i tratti di un paesaggio agricolo ancora relativamente integro, ha i giorni contati.
Il WWF in questi anni ha fatto tutto il possibile contro il progetto della Ti-Bre: dalle osservazioni in sede di VIA, all’informazione alla cittadinanza, alla proposta di un approccio diverso al tema della mobilità, alla diffusione di una maggiore consapevolezza sul problema del consumo di suolo. Oggi noi ambientalisti perdiamo quindi una battaglia importante. Ma non vince l’agricoltura, che vede ulteriormente ridotta e frammentata la superficie utile nell’area più produttiva della provincia, non vince la salute, che dovrà fare i conti con un aumento delle emissioni atmosferiche ed acustiche, non vince la natura, che subirà l’attraversamento di una Zona di Protezione Speciale, e non vince il futuro dei nostri figli, ai quali sarà difficile spiegare il valore di qualcosa che non ci sarà più.
È il prezzo da pagare in cambio di ciò che molti oggi chiamano ancora “sviluppo”. Uno sviluppo basato ancora sulla costruzione di nuove strade, sul consumo di risorse e sulla distruzione del territorio. Un modello che poteva avere un senso fino agli anni ’60, con un mercato dell’auto ben più promettente, una mobilità su gomma che apriva nuove possibilità, un’economia con previsioni di crescita molto maggiori. Oggi, con il costo del petrolio a livelli impensabili solo dieci anni fa e un tasso di motorizzazione dipendente dagli incentivi statali, lo scenario del secolo scorso sembra lontano di qualche era geologica e quel modello meriterebbe la definizione di “svilupposauro”. Per non parlare della minaccia dei cambiamenti climatici, con il settore dei trasporti che primeggia nel contributo all’emissione di gas serra.
Verrebbe da dire che ormai per un’associazione ambientalista nella pianura parmense non ci sia più niente da fare, se non fosse che all’orizzonte si intravedono altre ulteriori minacce e altri progetti rischiano di affossare quel poco di naturalità residua che rimane. Progetti non ancora scritti, ma già sottintesi nella visione di vari amministratori, che sperano in nuove e più estese aree industriali, come se il problema dell’economia oggi, in un mondo già intasato di merci e con le materie prime alle stelle, fosse quello di produrre di più. Come se questo modello non avesse già creato abbastanza disoccupazione.
Quindi da fare ce n’è, e molto, se oggi chi ci amministra il territorio parmense ritiene che la migliore compensazione per i danni causati da un’infrastruttura pesante come l’autostrada, sia la costruzione di altre infrastrutture, come la tangenziale di Fontevivo o quella di Roncocampocanneto. In altri Paesi, come l’Olanda o la Germania, la compensazione serve a bilanciare le perdite ambientali, con interventi come la creazione di boschi, filari e zone umide. Questa è la differenza tra sviluppo e svilupposauro.