Uno spettro si aggira per Parma: lo spettro delle primarie (di Andrea Marsiletti)

“Uno spettro si aggira per Parma: lo spettro delle primarie.”

Dopo la deflagrante esperienza del 2017 che portò alla sfortunata candidatura a sindaco di Paolo Scarpa, “primarie” era diventata un brutta parola che per anni a Parma nessuno ha più osato pronunciare. Farlo in una chat o in una sede di partito sembrava una provocazione o la follia di un kamikaze.

E pensare che per il Pd le primarie sono la modalità naturale per la selezione dei sindaci. L’articolo 24 dello Statuto del partito, “Elezioni primarie per le cariche monocratiche istituzionali”, stabilisce in modo inequivocabile che “i candidati alla carica di Sindaco e Presidente di Regione vengono scelti attraverso il ricorso alle primarie di coalizione“.

Dopodichè i 3/5 dell’assemblea competente può decidere di non convocarle, come deroga alla regola generale.

Da qualche mese l’opzione “primarie” ha ripreso a circolare. Un pò perchè sono state indette in primavera a Roma e Bologna, ma sopratutto perchè oggi l’alleanza Pd-Effetto Parma a guida pizzarottiana, tanto benedetta dai livelli regionali, non è più così scontata, anzi, è avversata da più parti nei democratici locali, in particolare da dentro il Gruppo consiliare.

E’ contrastata con l’opinione (per definizione opinabile) che un centrosinistra che si presentasse nella scia del pizzarottismo sarebbe più debole a livello elettorale e, dando agli avversari la carta del cambiamento, faciliterebbe la vittoria del centrodestra. Specularmente una componente di Effetto Parma trova contraddittoria un’alleanza col Pd che in Consiglio comunale non ha mai fatto mancare dure critiche all’azione della maggioranza… quel Pd da 25 anni perde le elezioni cittadine.

In questa empasse le primarie tornano a essere una parola educata, fin appropriata, che potrebbe essere rilanciata a gran voce anche dagli altri partiti della coalizione di centrosinistra.

Il solo decidere di farle è già in sè una scelta politica. Perchè è nelle cose che Effetto Parma, che governa la città da dieci anni, non parteciperebbe e comunque, se mai partecipasse, non le vincerebbe a giudicare dalla capacità di mobilitazione dimostrata alle elezioni regionali, e pure alle comunali del 2017 nelle quali il capogruppo uscente Bosi (554) e gli assessori uscenti Alinovi (474) e Casa (345) raccolsero insieme lo stesso numero di preferenze di Lorenzo Lavagetto (1268) che neppure era in Consiglio comunale.

Se il Pd sceglie la via delle primarie dà l’appuntamento a Effetto Parma al secondo turno e gli dice: “Ognuno corra da solo al primo turno in coerenza con gli ultimi dieci anni, noi come opposizione e discontinuità non tranciante, voi come maggioranza e continuità, e poi ci alleiamo al ballottaggio contro le destre, considerato che per entrambi i nostri elettorati quello è l’avversario da battere. Corriamo divisi per colpire uniti. In questo modo nessuno dovrà portare sulle spalle il fardello degli errori e dei nemici dell’altro.”

Il Pd, o meglio, la coalizione di centrosinistra che, al contrario, decidono di non fare le primarie e di allearsi già all’inizio con Effetto Parma dovranno assecondare, più o meno ad alta voce e in modo convinto, la richiesta della maggioranza, già avanzata pubblicamente, logica e legittima, di “riconoscere il buon lavoro fatto dalle Amministrazioni Pizzarotti”.

E’ questo il nodo politico che il centrosinistra è chiamato a sciogliere, in tempi rapidi per consentire l’avvio di un credibile percorso comune.

Fino ad allora le primarie non solo saranno uno spettro ma una soluzione. Con un vincitore annunciato.

A meno che non si apra una fase nuova di superamento dell’esistente con la convergenza da subito su un profilo tecnico che faccia della competenza amministrativa, e non dell’appartenenza, il suo segno distintivo o un terzo super partes che mettano d’accordo, se non tutti, tanti.

Potrebbero esserci. Ma devono convincersi di volersi buttare nella mischia, o nella lava incandescente.

Andrea Marsiletti

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