Via Burla: da sempre “contagiati” dall’indifferenza, “unti” dalla diffidenza

I circa 600 detenuti degli istituti penitenziari di Parma, in occasione dell’emergenza per il nuovo corona virus hanno offerto, non solo ai cittadini parmigiani, ma anche a tutti i detenuti delle carceri italiane, un esempio ed una lezione di buon senso e di rispetto delle regole. Infatti in occasione delle sommosse dell’8 e 9 marzo presso molti penitenziari della Nazione ” i detenuti parmigiani” non si sono fatti trovare del tutto impreparati.

Grazie ad un carteggio che abbiamo ricevuto tramite il periodico ” Ristretti Orizzonti”, scritto dai detenuti di tutta Italia siamo venuti a conoscenza di alcune importanti e significative considerazioni che i reclusi di via Burla hanno fatto circa la fase emergenziale che stiamo vivendo. Dalle loro lettere si evincono preoccupazioni ed ansie per i propri familiari e al tempo stesso l’impotenza e l’impossibilità a poter far qualcosa ed essere di aiuto per proteggere i loro cari.

Qualcuno lamenta notti insonni e sempre più lunghe, una quotidianità sconvolta e uno stato di confusione e disagio. Ma nelle lettere dei detenuti non ci sono solo angosce e timori, ma ci sono anche storie di vita, racconti di ricordi dei giorni in cui vivevano in famiglia o di quando non vigevano restrizioni così ferree come la sospensione dei colloqui con i familiari.

Le parole degli ” inquilini” di via Burla sono anche pregne di saggezza perché in più occasioni condannano le sommosse messe in campo dagli altri “fratelli” carcerati perché ritengono che nulla può giustificare uno scempio tale come quello che si è visto negli altri istituti penitenziari. Dagli scritti e dalle considerazioni di alcuni di loro si evince il pensiero che per far valere le giuste rimostranze per la lesione di diritti individuali ci sono altre vie oltre quella della violenza.

Una lezione alla “nonviolenza ” che ci viene proprio da chi condannando i propri atteggiamenti violenti, nelle vite passate, ha capito e compreso quali siano i modi e le maniere per interagire e la forza del dialogo. Molti dei detenuti parmigiani plaudono all’attività educativa e rieducativa messa in atto da sempre dalla Direzione carceraria e sono grati del fatto che gli sia stato inculcato il senso della responsabilità e dell’autodeterminazione attraverso incontri culturali, redazionali, universitari e sportivi. Inoltre a Parma si è avuta la lungimiranza di concedere subito ed in via straordinaria una telefonata in più alla settimana e collegamenti via Skype con i propri cari; tutto ciò ha evitato disordini e ha impedito di mettere a rischio l’incolumità dei detenuti e della Polizia Penitenziaria.

Tra le belle ed accorate righe delle lettere dei reclusi di “casa nostra” c’è la preoccupazione in primis per le anziane, e talvolta malate, madri e anche per le mogli e per i propri figli; la preoccupazione si estende anche a chi è tenuto a vigilare circa la loro detenzione, a tutti quegli agenti che entrando e uscendo dal carcere mettono a rischio la propria vita e quella dei propri cari. Uno dei detenuti che da anni scrive sul giornale “Ristretti Orizzonti” chiarisce che la propria sezione carceraria ha sottoscritto all’unanimità un documento con il quale si rinunciava ai colloqui con i propri familiari per tutto il tempo necessario, prima ancora che tale cosa fosse disposta dal Governo con un provvedimento.

Qualcuno lamenta l’insensatezza della disposizione che permette colloqui solo con familiari e non più in generale con le persone a cui si vuole bene come gli amici. In coro tutti i detenuti si augurano,che a conclusione di questo brutto periodo, tutte le persone, finora libere ma adesso ” recluse a casa”, possano avere maggiore comprensione per la loro condizione e che si sviluppi un nuovo interesse sociale verso le eterne criticità delle carceri italiane.

Raffaele Crispo

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