† Le contraddizioni dei Vangeli sul Natale sono scelte teologiche precise che proclamano un’unica verità (di Andrea Marsiletti)

di Andrea Marsiletti

TeoDaily – Nei Vangeli non esiste un unico “racconto di Natale”.

La nascita di Gesù ci è narrata solo da Matteo e Luca, ma i loro testi sono così diversi da sembrare quasi due storie diverse.

Marco e Giovanni neppure parlano della natività.

Le differenze non sono distrazioni redazionali, ma scelte teologiche precise: ciascun evangelista non intende offrire una cronaca, bensì proclamare un significato di fede.

Marco è il Vangelo più “essenziale”: elimina tutto ciò che non è funzionale al racconto del ministero, della passione e della risurrezione. Inizia “di colpo” con la vita pubblica di Gesù, con Giovanni Battista e il battesimo nel fiume Giordano. Lì avviene la rivelazione: il Padre dichiara “Tu sei il Figlio mio”. Il punto decisivo non è come è nato Gesù, ma chi è Gesù nel suo agire e nel suo donarsi sulla croce.

“In principio era il Verbo… e il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” scrive Giovanni nel suo celebre prologo. A Giovanni non importa e non perde tempo a raccontare una nascita storica perché essa inizia ancora più in alto: non da Betlemme, ma dall’eternità, dalla gloria del Padre. In Giovanni c’è un altro “Natale”: quello di chi accoglie Cristo. Il vero luogo in cui Dio nasce è il cuore dell’uomo che crede.

Matteo costruisce un racconto che sa di Antico Testamento. Il protagonista è Giuseppe, la scena è Betlemme, la cornice è quella del potere di Erode. Arrivano i Magi, c’è la stella, poi la fuga in Egitto e perfino l’eco della strage dei bambini. Tutto richiama Israele: il Messia nasce nella città di Davide, è minacciato come Mosè, è custodito da Dio come il popolo nell’Esodo. In Matteo, Gesù è il compimento della promessa, colui che si inserisce nella storia di Israele portandola a pienezza. E mentre le autorità non riconoscono il Messia, uomini venuti da lontano lo adorano: il Vangelo annuncia già qui che la salvezza non resterà chiusa nei confini di un popolo.

Luca sceglie un’altra prospettiva. Non c’è nulla di quanto raccontato da Matteo. Il racconto di Luca è umano, domestico, tenero. Maria è al centro, la famiglia parte da Nazaret, a Betlemme si arriva per un censimento ordinario. Gesù nasce nella povertà, in una mangiatoia, e i primi a ricevere l’annuncio non sono sapienti o potenti, ma i pastori, gli ultimi della società. Luca parla di un Dio che entra non nel mito, ma nella carne della storia, che si schiera dalla parte dei piccoli, che porta gioia e luce “per tutti i popoli”. Maria non scappa in Egitto, al posto della sua fuga e della strage degli innocenti ci sono la presentazione al Tempio nella città di Erode, Gerusalemme, e le parole di Simeone che completano il quadro: Gesù è dono universale, speranza per ogni uomo.

Due racconti, due teologie, due prospettive non armonizzabili, quando non contraddittorie, ma teologicamente complementari.

In Matteo, Dio è il Signore della storia che mantiene le promesse; in Luca è il Dio che entra nella carne fragile del mondo e si fa vicino agli ultimi.

Insieme dicono che il Natale non è favola, ma verità esistenziale: Dio non resta lontano, non osserva dall’alto, non rinuncia all’uomo. Entra nella storia, la attraversa, la salva dall’interno.

Il Natale, allora, non è solo memoria di un evento, ma provocazione: ci chiede di riconoscere che Dio continua a nascere là dove sembrerebbe impossibile, nelle periferie dell’esistenza, nelle fratture della storia, nelle nostre fragilità.

È lì che la promessa si compie, è lì che la tenerezza diventa speranza, è lì che il Vangelo prende carne.

Andrea Marsiletti




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