New Gold Dream: il sogno fondativo degli 80’s

di AlbertoPadovani

Calo subito l’asso: se non si può dire che i Simple Minds siano la band più importante degli anni 80, possiamo tranquillamente affermare che “New Gold Dream (81/82/83/84)” sia, almeno in ambito di new wave, l’album più importante del decennio.

Noncurante dei molti mal di pancia che sicuramente ha suscitato la mia partenza a razzo, cercherò di spiegare i motivi di questa mia asserzione.

Anche se, in realtà bastano le battute iniziale – la splendida intro di “Somewhere, someone (in summertime)” – per farsi attrarre da un sound che nemmeno loro riusciranno più a replicare con tanta efficacia, potenza, grazia, eleganza. La pietra filosofale era nelle loro mani e loro l’hanno usata al momento giusto.

Ovvero nel 1982, anno di uscita di questo capolavoro che, a distanza di più di 40 anni, riesce ancora a stupire ascolto dopo ascolto.

I Simple Minds, provenienti da Glasgow (strana terra quella scozzese, capace di portare alla luce periodicamente genialità acute in ambito pop e rock, a partire dall’underground), erano già conosciuti nei circuiti new wave ed avevano già prodotto lavori apprezzabili – dal “Life in a day” degli esordi (1979) a “Empires And Dance” del  1980, prima di approdare alla major Virgin con “Sons Of Fascination/Sister Feelings Call” del 1981 – ma non avevano l’aura di band leader in ambito new wave e successivamente mainstream che poi avrebbero avuto sostanzialmente fino alla fine degli anni 80, da cui oggettivamente non usciranno vivi, nonostante non si siano mai sciolti (direi purtroppo).

Ascoltandolo e riascoltandolo, credo che la forza di “New Gold Dream” sia la potente magia del sound. Una produzione – ad opera di Peter Welsh – di alto livello, con suoni molto curati, ma senza perdere l’anima, mai così precisamente espressa dal quintetto scozzese. Ognuno dei componenti riesce ad esprimere il meglio in un contesto davvero compatto e artisticamente ben orientato e determinato. Il “miracolo promesso” non si ripeterà coi successivi album, nonostante la roboante produzione di Steve Lillywhite, deus ex machina del sound U2 di “War” e altri capolavori della band irlandese.

Una menzione alla ritmica ipnotica e battente di Mel Gaynor e al basso geniale e potente di Derek Forbes, che lascerà i Simple Minds dopo l’approdo commerciale di “Don’t You (Forget About Me)”.

Il cuore stilistico dell’album è dato da due pezzi in sequenza: “Big sleep”, meno roboante delle hit principali, ma iconica nella sua struttura seriale, con un basso protagonista… e la successiva, strumentale “Somebody up there likes you” (a ribadire che Jim Kerr era fondamentale ma non imprescindibile). Due capolavori di equilibrio strutturale, basati su loop sonori, architetture solide e leggere: la fredda lezione della musica elettronica incontra l’anima pulsante di una band aperta.

“New Gold Dream” è l’apice: trascinante cavalcanta nel suo magnetismo da inno, a partire da un inizio interessantissimo nel suo incedere sincopato, su cui si innesta tutta la potenza del drumming e di una voce cavernosa e densa come mai. Jim Kerr all’apice di un sogno dorato collettivo.

L’ultima perla è “Hunter and hunted”, con una linea melodico-armonica capace di attrarre ed ancorare l’attenzione dell’ascoltatore, e con tanto di assolo di Herbie Hancock a farla volare. Davvero una delle song più belle uscite dalla new wave britannica.

Il finale “The King is white and in the crowd” – sebbene prodotta sempre in modo ottimale – non risulta altrettanto incisivo, sebbene sia un finale degno di nota. In un certo modo è il loro saluto al lato più new wave e a mio parere (non solo mio) più interessante della loro produzione.

Arriverà prima il coraggioso “Sparkle in the rain” – sospeso tra aperture rock e fedeltà alla new wave – e poi il grande successo pop con “Don’t You” e con l’album “Once upon a time”, che segna però l’abbandono del sound che ha fatto grandi artisticamente i Simple Minds a favore di scelte più convenzionali e redditizie.

Infine la copertina, per alcuni aspetti fuorviante, che portò ad identificare i Simple Minds in parte con il “Christian Rock” degli allora alfieri U2 – con cui vi fu un’innaturale rivalità – in parte con la simbologia celtico/scozzese, di cui i principali esponenti furono gli iperchitarristici Big Country.

Sonicamente però, qui viaggiamo su terre altre e possibilmente più alte, dove i riferimenti principali sono da trovare nei Roxy Music, nei Kraftwerk, nel David Bowie di fine anni 70.

Restiamo noi infine, a cullarci ancora una volta in questi “nuovi sogni d’oro”, consapevoli di quanta grandezza musicale abbiano prodotto i tanto criticati – in quanto plasticosi – anni 80. Se pensiamo alla plastica inutilissima di molta musica di questi giorni, questa ci sembra grande arte. Anzi, la è.

Alberto Padovani

Recensioni necessarie #26

Simple Minds al tempo di New Gold Dream

Jim Kerr, Vocals

Mike McNeil, Keyboards

Charlie Burchill, Guitars

Derek Forbes, Bass

Mel Gaynor, Drums

(in alcune tracce di “NGD” ci sono altri due batteristi: Mike Ogletree e Kenny Hyslop)

Tracklist

Someone, Somewhere (In Summertime)

Colours fly And Caterine Wheel

Promised You A Miracle

Big Sleep

Someone Up There Likes You

New Gold Dream (81/82/83/84)

Hunter And Hunted (feat. Herbie Hancock)

The King Is White And In The Crowd


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