Serata di grande intensità musicale, artistica ed umana quella vissuta lunedì 1 dicembre in un Teatro Regio pieno, attento ed entusiasta. Cristiano De Andrè, circondato e sostenuto da una band di ottimi musicisti, propone il meglio di quello che possiamo definire il più importante repertorio d’autore italiano, o uno dei principali: le canzoni del padre Fabrizio.
Una produzione tanto essenziale quanto curata, sia nella parte musicale che nella scenografia. Con un sound caldo, da club, viene pazientemente srotolata una scaletta accurata e davvero rappresentativa – vedi in coda all’articolo – che raccoglie il lavoro di anni di “De Andrè canta De Andrè” (quattro gli album live prodotti): “Che bello essere qui. Suonare al Regio è un vero privilegio” …così saluta il pubblico un emozionato Cristiano.
Una band che si muove con tatto e capacità, lasciando a lui il compito principale di interprete e musicista al contempo, ruoli in cui si trova pienamente a suo agio: racconta, anche per prendere fiato nello svolgersi dell’impegnativo repertorio, di come ha affrontato e superato le difficoltà, il peso del cognome e la fatica di arrivare a meritarsi il palco a fianco del padre nella sua ultima tournée, quella che arrivò al Regio in una piovosa sera del 1998.
Ebbene, quella sera il sottoscritto era presente, con qualche anno di meno e con un autore da scoprire quasi integralmente (di Faber conoscevo solo alcune tra le canzoni principali, immerso com’ero in altri generi): fu uno dei concerti più belli mai visti. Cristiano aveva un ruolo da polistrumentista (alla Mauro Pagani) che portò avanti con classe e tecnica.
Ricordo che ebbe anche lo spazio per proporre alcune sue canzoni (non dimentichiamo che ha prodotto 8 album di musica originale) che ricevettero una buona accoglienza del pubblico. L’altra sera no, solo “canzoni del padre”: un atto di grande umiltà artistica.
Il concerto inizia con un battito di cuore: qualcuno avrà pensato a “Dark side of the moon”, invece è la bellissima “Megu Megun”, a cui segue la splendida “A cimma”, entrambe tratte da “Le Nuvole”.
Gli arrangiamenti in generale sono più asciutti, ma non meno incisivi: il sapiente lavoro di Luciano Luisi (tastiere e arrangiamenti), porta ad evitare un confronto troppo diretto con le versioni originali e a modernizzare l’impatto delle canzoni. La vocalità di Cristiano è ovviamente affine a quella del padre, ma si fonda su un’originale autonomia interpretativa. Come dice lui stesso, si coglie chiaramente l’obiettivo di portare il repertorio di Faber ad un nuovo pubblico: spicca in questo senso l’arrangiamento trascinante di “Fiume Sand Creek”.
Personalmente ho molto apprezzato “Se ti tagliassero a pezzetti”, con una cura delle chitarre che ricorda il migliore Tom Petty. In generale spicca nelle reinterpretazioni l’attitudine folk rock propria dello stile di Cristiano De Andrè.
Il pianoforte viene toccato per la prima volta con “Verranno a chiederti del nostro amore”, canzone che Cristiano ha vissuto biograficamente in prima persona e che riporta in modo toccante ogni volta che la interpreta.
Seguono altre due canzoni da “Storia di un impiegato” – album politicamente e socialmente impegnato – da cui vengono tratti altri due momenti topici del concerto: “La canzone del padre” e subito dopo “Nella mia ora di libertà”, con coro finale di tutto il Regio: “Per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti”.
“C’è un filo rosso che lega le canzoni di mio padre: ed è la coerenza nello stare dalla parte degli ultimi”: una premessa che porta alla seconda parte del concerto, quella dove vengono snocciolati senza riserve i cavalli di battaglia attesi dal pubblico, con crescente trasporto.
Da “Bocca di rosa” ad un “Amico fragile” dall’anima profondamente progressive, eseguita meravigliosamente; da “La canzone di Marinella” in poi, con un distensivo momento acustico “tutti davanti”, fino all’encore, che inizia con quella canzone infinita che è “Creuza de ma” e si conclude con “Il pescatore” che, non me ne vorrete, continuo a preferire nella versione originale, folk e scarna, dove le parole si stagliano all’ombra dell’ultimo sole. Ma il pubblico ormai se l’aspetta nella versione “Faber con la PFM” e viene rispettato. Il congedo è affidato a “La canzone dell’amore perduto”, romantico suggello di una serata da incorniciare.
Eh si… cantare al Regio è davvero un privilegio. Ma lo è anche ascoltare i tanti artisti, musicisti e cantautori in cartellone: nelle settimane scorse il Principe Francesco De Gregori; lunedì scorso, usando le parole ironiche di Cristiano, “un parente stretto” di Fabrizio De Andrè. In novembre due eventi di livello internazionale, come il “Barezzi Festival” e “Il Rumore del Lutto”. Parma continua ad essere “Città della Musica”, non più solo per la lirica.
Alberto Padovani
Recensioni necessarie #27
(Foto Sterbizzi)
Scaletta
- Mégu megún
- ‘Â çìmma
- Ho visto Nina volare
- Don Raffaè
- Se ti tagliassero a pezzetti
- Smisurata preghiera
- Verranno a chiederti del nostro amore
- Canzone del padre
- Nella mia ora di libertà
- Bocca di rosa
- Amico fragile
- La canzone di Marinella
- Disamistade
- Andrea / La cattiva strada
- Un giudice
- Il testamento di Tito
- La collina
- Volta la carta
- Quello che non ho
- Fiume Sand Creek
- Crêuza de mä
- Il pescatore
- La canzone dell’amore perduto
Band
Osvaldo di Dio alle chitarre e cori; Davide Pezzin al basso; Ivano Zanotti alla batteria e percussioni; Luciano Luisi, tastierista e arrangiatore, cori e chitarra nel set acustico.
Cristiano De Andrè, voce, chitarra acustica e classica, bouzouki, pianoforte e violino… Dice di non essere polistrumentista, ma è qualcosa che gli si avvicina molto.



