Il rischio è che ci siano una montagna di serie a e una di serie B. È questo l’allarme che arriva dall’Emilia-Romagna dopo l’annuncio del ministro Roberto Calderoli sui nuovi criteri di classificazione dei Comuni montani previsti dal primo decreto attuativo della legge 131, la cosiddetta “Legge sulla montagna”, approvata lo scorso settembre dal Governo Meloni. Un provvedimento che, secondo le stime, potrebbe escludere fino al 40% dei Comuni oggi riconosciuti come montani, con conseguenze pesantissime anche per territori fragili del Parmense e dell’Appennino regionale.
A lanciare l’allarme è Barbara Lori, vicepresidente dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna, che interviene con parole nette contro un’impostazione che “non tiene conto, se non in modo molto parziale, delle reali condizioni del nostro Appennino”.
“La legge – spiega Lori – con il primo dei dodici decreti attuativi rischia di ridurre drasticamente il numero dei Comuni classificati come montani dalla Regione, penalizzando territori che oggi svolgono un ruolo fondamentale di cerniera tra il crinale e la pianura. La nuova classificazione, basata principalmente su altitudine e pendenza, comporterà una riduzione importante dei 121 Comuni oggi riconosciuti come montani dalla normativa regionale”.
Un cambio di criteri che non è solo formale, ma che rischia di avere effetti concreti e immediati: meno Comuni riconosciuti come montani significa meno risorse, meno strumenti e meno tutele. “Solo una parte dei territori – sottolinea Lori – potrà continuare a beneficiare delle risorse destinate alla montagna. È invece indispensabile mantenere alta l’attenzione verso tutti i Comuni montani, per non disperdere le sinergie costruite in questi anni e per garantire la cura del territorio, che ha ricadute su tutta la provincia”.
Il nodo centrale resta quello delle risorse. La legge prevede 200 milioni di euro complessivi, una cifra che Lori definisce insufficiente e che “non rappresenta un euro in più rispetto alle annualità precedenti”. Fondi che dovrebbero servire per la manutenzione di strade e territorio, per il contrasto al dissesto idrogeologico e per sostenere i processi di defiscalizzazione a favore delle imprese montane, decreti attuativi sui quali si attendono ancora risposte concrete.
“È necessario – prosegue Lori – che la voce degli amministratori locali e della Regione si faccia sentire forte. L’assessore Baruffi si è impegnato a dare battaglia e in Conferenza Stato-Regioni ci sono già state interlocuzioni, ma gli esiti lasciano molto a desiderare. Il Governo appare determinato a ridurre la platea dei Comuni beneficiari, rendendo ancora più fragili territori già esposti a spopolamento e difficoltà strutturali”.
Preoccupazioni che trovano piena convergenza nella posizione di Anci Emilia-Romagna, che parla apertamente di una legge “anacronistica e scollegata dalla realtà”. Secondo l’associazione dei Comuni, puntare tutto su classificazioni rigide basate su parametri geografici rischia di compromettere la sopravvivenza stessa di molti piccoli municipi appenninici.
“Questa proposta – evidenzia Anci – non tiene conto di elementi essenziali come la distanza dai servizi, i rischi idrogeologici e la fragilità economica dei contesti locali, delineando una frattura profonda tra una montagna di serie A, come le Alpi, e una di serie B, come i nostri Appennini”.
A farsi portavoce delle istanze dei territori è Beatrice Poli, delegata alla montagna di Anci Emilia-Romagna, che insieme al presidente Marco Panieri annuncia battaglia istituzionale: “Ci faremo portavoce, in ogni sede opportuna, della necessità di rimodulare i parametri valutativi. Questa ipotesi di classificazione desta forte preoccupazione”.
Ancora più netta la riflessione sui piccoli Comuni, come sottolinea la coordinatrice regionale: “L’esclusione dalla classificazione come montani riguarda soprattutto i piccoli centri. Questo significa aumentare le disuguaglianze tra territori, penalizzando comunità che già dispongono di pochissime risorse”.
Un quadro che si inserisce in un contesto già segnato dalle ferite profonde lasciate dal biennio alluvionale 2023-2024. “In questo scenario – conclude Poli – chi amministra piccoli Comuni montani si sente sempre più come un timoniere solo, in balia delle onde. All’orizzonte rischiano di esserci solo i titoli di coda per progetti, sogni e speranze costruiti con fatica insieme alle comunità”.
Un grido d’allarme condiviso, che chiede al Governo un cambio di rotta: perché senza una montagna viva e presidiata, a perdere non sono solo i territori appenninici, ma l’intero equilibrio ambientale, sociale ed economico della regione.

