Che ruolo ha oggi il quartiere nella crescita dei nostri figli?
È ancora un luogo di appartenenza o è diventato solo uno spazio di passaggio, anonimo, frammentato, vissuto a metà?
Viviamo in una società sempre più divisiva, veloce, destabilizzante. Una società che separa invece di tenere insieme, che individualizza invece di creare comunità. In questo contesto il quartiere dovrebbe essere un presidio educativo naturale, uno spazio di riconoscimento reciproco, un luogo dove sentirsi parte di qualcosa. E invece, troppo spesso, non lo è.
Molti quartieri sono poveri di luoghi di aggregazione. Mancano spazi pensati per “stare”, non solo per transitare. Mancano luoghi dove bambini e ragazzi possano incontrarsi, sbagliare, sperimentare, crescere insieme sotto lo sguardo discreto, ma presente degli adulti. E allora viene spontaneo chiedersi: come possiamo pretendere senso di appartenenza se non offriamo luoghi da abitare?
Come possiamo educare al rispetto se il contesto non viene mai vissuto, ma solo attraversato?
Dal punto di vista educativo e psicologico il legame è evidente: si cura ciò che si sente proprio, si rispetta ciò che si conosce, si ama ciò che si vive. Un bambino che cresce in un quartiere che sente suo sviluppa un senso di responsabilità, di identità, di radicamento. Un ragazzo che ha spazi di riferimento costruisce legami, impara a stare nel gruppo, sperimenta regole condivise, sviluppa competenze sociali ed emotive fondamentali.
Eppure sappiamo bene che non tutti i Comuni riescono, per mancanza di risorse, a garantire a ogni quartiere luoghi di aggregazione adeguati. In alcune zone i progetti di riqualificazione hanno funzionato, in altre restano solo buone intenzioni. Allora la domanda diventa inevitabile: se non ci sono nuovi spazi, possiamo ripensare quelli che già esistono?
Forse è arrivato il momento di immaginare una scuola realmente aperta alle famiglie. Non solo come luogo di istruzione — che resta fondamentale — ma come contenitore di esperienze, generatore di legami, spazio di continuità educativa. Una scuola che non chiude al suono dell’ultima campanella, ma che si apre al territorio, ai genitori, alle associazioni.
Una scuola vissuta diventa una scuola amata.
Una scuola abitata diventa una scuola rispettata.
Dare fiducia alle famiglie nella gestione autonoma di alcuni spazi potrebbe essere una risposta concreta. Affidare la cura e l’animazione di questi luoghi anche ad associazioni del territorio, capaci di proporre attività educative, culturali, artistiche, sportive. Creare un’alternanza di presenze che renda lo spazio vivo, attraversato, condiviso. Un luogo di bellezza non perché perfetto, ma perché sentito come proprio.
Questo significherebbe educare alla corresponsabilità: genitori e figli insieme, chiamati a prendersi cura di uno spazio comune. Un’esperienza potente dal punto di vista educativo, perché insegna che i luoghi non sono “di nessuno”, ma di tutti. E quindi da rispettare.
E per i ragazzi più grandi? Perché non pensare a una scuola che, in alcuni momenti, possa essere gestita direttamente da loro? Spazi affidati alla loro responsabilità, non per “controllarli”, ma per riconoscerli come cittadini in formazione. Luoghi che diventino tavoli di discussione, contesti sicuri in cui confrontarsi, scambiare idee, raccontare esperienze, dare forma ai pensieri. Perché l’adolescenza ha bisogno di parola, di ascolto, di luoghi dove sentirsi legittimati a esistere e a pensare. Forse è proprio lì che si costruisce il futuro: quando ai ragazzi non si chiede solo di obbedire a regole già scritte, ma si offre loro la possibilità di riflettere, immaginare, proporre. Costruire il futuro, appunto, partendo dal sentirsi parte attiva del presente.
Forse tutti vorremmo cambiare le cose.
Forse tutti ne parliamo, ci indigniamo, riflettiamo.
Ma chi può davvero cambiarle, spesso, non lo fa.
E allora la domanda resta aperta, volutamente: abbiamo il coraggio di ripensare i luoghi educativi come spazi di comunità?
Abbiamo il coraggio di fidarci delle famiglie, di responsabilizzarle, di renderle parte attiva?
Perché senza luoghi non c’è comunità.
E senza comunità, crescere diventa un’esperienza sempre più solitaria e questo non si può accettare.
Alice Altzeni



