Rinvio a giudizio per 11 dipendenti del carcere di Parma

SMA MODENA

05/05/2015
h.11.50

La decisione del GUP del Tribunale di Parma di rinviare a giudizio undici dipendenti dell’Amministrazione penitenziaria – direttrice, comandante e nove membri della Polizia penitenziaria – per rispondere anche dell’imputazione di “procurata evasione”, agendo quindi con dolo, desta una forte preoccupazione. La fuga di due detenuti, avvenuta la notte del 2 febbraio 2013, appare ora avere i connotati della scientifica volontà e determinazione di evadere alla quale si è aggiunta la presunta volontà di qualcuno di essere complice nell’azione evasiva.
Come non rimanere colpiti da questo scenario? Non conosco i dettagli dell’indagine ne ho letto una sola pagina del procedimento. Frequentando il carcere, nel mio ruolo di Garante dei diritti dei detenuti, sono rimasto vicino a questa indagine per il tramite della preoccupazione degli indagati che conosco, in parte, personalmente.
Svolgere il ruolo di Garante comporta una costante attenzione ai meccanismi che possono generare violazione dei diritti dei detenuti che, nonostante l’esecuzione di una condanna, restano esseri umani portatori di diritti inviolabili. Nell’arco di un anno ho raccolto un numero considerevole di presunte violazioni che ho segnalato alle competenti autorità e raccolto in un documento presentato davanti al Consiglio comunale lo scorso 30 marzo. Queste si concentrano su aspetti sanitari, trattamentali, limitazione del diritto allo studio, lentezze e inadempienze della giustizia, mancato rispetto delle forniture obbligatorie, incolumità personale, igiene degli ambienti detentivi, limitazione della cura degli aspetti affettivi e familiari dei detenuti.
Nel nostro carcere sono rinchiuse 530 persone. Un numero che si è via via ridotto dalla oltre 650 presenti prima degli importanti e recenti interventi legislativi successivi alla condanna ricevuta dall’Italia da parte della Corte europea per i diritti dell’uomo per la violazione dell’art. 3 della Convenzione che stabilisce il divieto di tortura, pene o trattamenti inumani o degradanti come quelli subiti da un detenuto rinchiuso in un altro carcere emiliano, quello di Piacenza.
I detenuti nel nostro carcere sono sottoposti a regimi detentivi differenziati che vanno dal 41bis sino alla media sicurezza (i cosiddetti detenuti comuni) passando per alcune sfumature dell’alta sicurezza per persone con reati associativi. Il costo per la gestione di questa struttura finalizzata al “trattamento e al recupero” dei detenuti è enorme.
Prendendo come validi i dati dell’Associazione Antigone un detenuto in Italia costa ogni giorno circa 150 Euro. E’ facile calcolare che il nostro carcere ha un costo di gestione e mantenimento di 29 milioni di euro all’anno.
L’insieme della totalità delle iniziative volte a “recuperare” i detenuti (corsi, scuola, attività culturali e sportive, etc) non rappresentano che una misera parte di quella enorme cifra.
In aiuto alla situazione intervengono le risorse che provengono dal territorio (Comune di Parma, Regione Emilia Romagna e volontariato penitenziario in particolare) in quanto il Ministero della Giustizia per le attività trattamentali dei detenuti stanzia l’equivalente del costo di 63 minuti di vita e gestione del carcere di Parma per ogni anno di funzionamento ovvero 3.500 Euro. Una miseria appunto.
Nel mio rapporto ho avuto modo di evidenziare che al carcere di Parma il Ministero della Giustizia ha assegnato 460 uomini della penitenziaria dei quali effettivi sono solamente 309; la differenza èfatta di uomini che mancano perché impegnati in altre sedi o in congedo o assegnati e distaccati ad altri servizi ministeriali. Ora questa mancanza di uomini si riverbera pesantemente su due aspetti della gestione del carcere.
Il primo è quello relativo alla riduzione delle attività trattamentali per i detenuti. Meno agenti sono in servizio meno forze si hanno per vigilare e di conseguenza meno attività si possono svolgere. A Parma tutte le attività iniziano alle 9.00 e terminano alle 15.00, con un’ora di “pausa”, dal lunedì al venerdì esclusi i giorni festivi e le interruzioni nel corso delle pause estive, di Natale e Pasqua per permettere agli agenti di fare le ferie.
Il resto del tempo i detenuti lo trascorrono nelle sezioni detentive o in cella con inevitabili effetti sulla loro tenuta psicofisica.
Il secondo effetto è quello relativo alle modalità di lavoro degli uomini del Corpo di Polizia penitenziaria che si vedono ridotti nel numero, assillati dagli adempimenti (poca parte del lavoro è supportata dall’informatizzazione, perché mancano i fondi per acquistare i personal computer, e così si lavora su registri cartacei per la tenuta dei movimenti delle persone, delle perquisizioni, dei diversi controlli, etc.), stressati e spesso impreparati e non formati alla complessità della gestione delle dinamiche che si sviluppano in una sezione dove possono essere collocati anche 50 detenuti con molteplici problematiche sotto la sorveglianza di un solo agente.
La notte tra l’1 e il 2 febbraio del 2013 il carcere di Parma è rimasto annichilito dalla abilità e destrezza di due detenuti i quali altro non hanno fatto che sfruttare le falle di un sistema iperburocratico, dotato di una tecnologia molto povera, sottodimensionato nelle forze umane, perennemente sotto pressione e anche impunito nelle inadeguatezze della costruzione dotata di sbarramenti violabili da semplici seghetti, che nei periodi di pioggia fa acqua da tutte le parti e con un volume degli spazi detentivi fortemente prevalenti rispetto agli spazi dedicati alle attività, al lavoro e alla socializzazione.
Quello che come Garante mi auguro è che il Tribunale di Parma svolga con scrupolo questo processo e che l’autorità giudiziaria, prima o poi, ascolti anche le denunce e gli appelli dei detenuti, dei loro familiari e del Garante, e cerchi il responsabile vero di questo insensato sistema che allo stato delle cose non produce assolutamente nulla. Ritenere invece che quella notte undici persone abbiano, con dolo, procurato l’evasione di due detenuti appare essere la semplificazione di uno scenario molto più complesso che rischia di condannare solo coloro che sono rimasti con il “cerino in mano”.

Roberto Cavalieri
Garante dei diritti delle persone private della libertà personale