
Distanziamento sociale e assistenza religiosa sono concetti piuttosto incompatibili, un “ossimoro”. A causa della pandemia, che ha stravolto tanti aspetti della società e della vita di ognuno di noi, sono state a lungo sospese tradizioni e riti consolidati dagli albori della Chiesa: le messe, le celebrazioni dei sacramenti, inclusi i funerali.
In un periodo in cui la solitudine ha messo a dura prova la tenuta psicologia di molti, non solo delle fasce di popolazione più fragili, la ricerca di altre forme di contatto con i fedeli è stata piuttosto creativa in molte città italiane, Parma compresa.
E indubbiamente, i vecchi e i “nuovi media” hanno avuto un ruolo importante.
Abbiamo affrontato questi temi con monsignor Enrico Solmi, vescovo di Parma.
Come è cambiato il rapporto con i fedeli e come si sono organizzate le parrocchie e la stessa Diocesi di Parma?
La Chiesa si rivolge a un insieme di persone che non sono solo quelle legate all’assemblea liturgica che è sì un punto essenziale, ma non è l’unico. Pensiamo a tutte le attività che le parrocchie e le associazioni compiono o alla Caritas che ha un bacino di riferimento estremamente ampio. Per quanto riguarda l’assemblea liturgica ci siamo indubbiamente trovati in pochissimo tempo a non poter più celebrare nulla, penso al mercoledì delle Ceneri.
Per la liturgia la presenza, il fare comunità, l’essere insieme, il cantare, il pregare, il segno della pace sono elementi essenziali. Ci siamo trovati in poco tempo in un mondo totalmente “altro” e questo ha richiesto fantasia e una reazione immediata. La soluzione che ha preso piede è stata la trasmissione della messa. Molte parrocchie sono partite in streaming, qualcuna attraverso YouTube e anche io ho iniziato a celebrare in onda fin da subito su Giovanni Paolo Tv. Ho poi trovato la disponibilità anche di 12 TV Parma, dove ho tenuto anche una rubrica di attualità di catechesi e una seconda sul Vangelo della domenica. Questo ha fatto si che potessi arrivare in tutte le case dei parmigiani, di tutti gli emiliano-romagnoli e non solo.
In seconda battuta, ma parallelamente, abbiamo proposto una preghiera per la celebrazione domestica della domenica. Sono partiti dal Centro Diocesi dei sussidi settimanali per aiutare la famiglia a leggere la parola di Dio con i propri figli. È stato un momento molto intenso anche per me ed è servita molta creatività; quello che abbiamo fatto ha certamente aiutato ma è chiaro che non ha sostituito l’importanza del rapporto vis-à-vis”
Tanti malati e anziani non hanno potuto contare sull’abituale rapporto diretto col parroco e poi c’è stato addirittura il capitolo dei funerali non celebrati.
Marzo e aprile sono stati una fase dolorosissima. Il lockdown ha richiesto la sospensione delle visite agli anziani. Il dialogo con queste persone e anche la possibilità di portare la comunione a casa si sono bruscamente interrotte. Alcuni parroci hanno continuato, mantenendo il dialogo al citofono o all’esterno, sotto le finestre. Molte parrocchie hanno reagito contattando telefonicamente le persone e questo indubbiamente ha fatto molto piacere. Il telefono è stato uno degli strumenti più utilizzati. Io stesso ho passato ore e ore al telefono, contattando i medici, le persone all’ospedale. Dolorosissimo è stato certamente essere da soli davanti alla sofferenza e alla morte. E penso in particolare ai ricoverati, quasi tutti anziani. Dobbiamo fare una grande riflessione sul tema, si pone il problema dell’assistenza religiosa che purtroppo non è stata possibile. La domanda da porsi è: qual è il ruolo del cappellano all’interno dell’equipe che accompagna e cura le persone ricoverate? La domanda va posta perché di questa assenza hanno patito i pazienti, ma credo anche il personale sanitario.
Come avete sopperito a questo?
È avvenuta in quel momento un’azione estremamente bella da parte della dirigenza dell’ospedale e degli operatori sanitari che hanno accolto la mia proposta e così hanno fatto un’azione di vicinanza nei confronti delle persone che chiedevano anche un conforto religioso. Era il momento in cui il Papa concedeva l’indulgenza plenaria, era possibile anche dare l’assoluzione da parte dei presbiteri generali. Io in quel momento ho preparato due preghiere, una per il personale sanitario stesso accompagnata da un crocefisso e una seconda da recitare con i pazienti che lo richiedevano. Mi hanno predisposto quasi 2.000 kit confezionati secondo le regole igieniche, contenenti le preghiere, il crocifisso e la coroncina che abbiamo potuto distribuire attraverso la farmacia dell’Ospedale e supplire così a quel contatto essenziale forte che doveva esserci. Devo dire che c’è stata enorme disponibilità da parte di tutti.
Il capitolo dei funerali non fatti sanguina ancora. Perché per il credente la celebrazione eucaristica per la persona che muore ha un significato di suffragio, di preghiera, di comunione. È venuto a mancare quell’elemento essenziale che è l’inizio dell’elaborazione del lutto, che è in un saluto, in un commiato doloroso, ma segnato anche dalla speranza per chi ha fede e contraddistinto dal ricordo di quei tratti belli e condivisi della vita, per chi non ha una visione cristiana.
Stiamo recuperando nei modi e nelle forme possibili attraverso delle celebrazioni a posteriori. Per i nove sacerdoti ho celebrato il “funerale in ritardo”, trovando delle assemblee all’aperto con tantissimi fedeli che hanno voluto assistere, come è successo a Carignano. Tante parrocchie hanno voluto che il parroco passasse davanti alla chiesa per suonare le campane; a Gaione ho seguito da lontano il feretro e vedevo le persone alle finestre addobbate come fosse una processione, a Calestano, ogni volta moriva una persona, i cittadini recitavano il rosario alle finestre. Sono state forme supplenti di saluto e commiato.
A marzo, quando ho seguito da solo il feretro di uno dei sacerdoti perché non hanno permesso all’unica congiunta in vita di partecipare, mi ha molto colpito il commento degli operatori delle pompe funebri, che dicevano: “ne ha accompagnato tanti e ora va al cimitero da solo”.
La pandemia ha creato anche nuove povertà, qual è la situazione della mensa dei poveri della Caritas?
Abbiamo triplicato gli utenti, c’è il 300% in più. Nel momento in cui è iniziato il lockdown il Gruppo Intervento della Caritas, che è la nostra Protezione Civile, ha attivato un telefono verde. Sono state raccolte infinite richieste, spessissimo di carattere alimentare ma ci sono stati anche tanti pianti e sfoghi e una equipe di psicologi e di sacerdoti si sono resi disponibili all’ascolto.
Dal punto di vista operativo abbiamo avuto un po’ di problemi di logistica, poi abbiamo dovuto porzionare tutto, per avere un insieme di prodotti che dovevano essere mangiati altrove, quindi è venuta meno anche la convivialità. C’è stata anche una bella solidarietà da parte di diversi supermercati che hanno attivato “la spesa amica” e di tanti giovani volontari, almeno 150 studenti universitari ci hanno dato una mano quotidianamente. Abbiamo promosso un fondo di solidarietà che abbiamo chiamato San Lorenzo che sta iniziando a vagliare le richieste per distribuire i beni. Ma sappiamo che i veri problemi arriveranno a ottobre. I primi interventi li abbiamo fatti nei confronti delle cooperative sociali, che sono state dimenticate da molti e si sono trovate in grandissima difficoltà, ma che nello stesso tempo hanno fatto opera a distanza fondamentale per esempio per i disabili.
Pensando al futuro cosa si sente di dire alla città?
C’è stato un mantra sul quale ho molte perplessità: “andrà tutto bene”. Certamente bisogna dare un messaggio positivo, ma sempre collocato nell’assoluta comprensione del nostro impegno. Andrà bene se saremo impegnati; da parti di tutti ci vuole un surplus di responsabilità e di coesione sociale, andando oltre le proprie esigenze e abitudini. Penso ai giovani. Abbiamo assistito a espressioni di generosità incredibili, ma anche abbiamo visto espressioni di non responsabilità altrettanto incredibili. Questa è una malattia che ha una prevenzione legata a comportamenti umani. Ai fedeli dico è un anno nel quale siamo chiamati a riflettere su cosa il Signore ci chiede a come essere Chiesa qui e dove, certi che non è il recinto dei credenti, ma il sale disponibile a tutti. Certamente, nel limite del possibile, torniamo a trovarci con quelle regole che sappiamo e dobbiamo rispettare, questo vuol dire la messa, le forme di incontro, il catechismo. E voglio citare i Grest per bambini e ragazzi che, per il modo in cui hanno operato, sono esempio da imitare in ogni attività.
Riparte anche Parma 2020+21 e il Battistero mostrerà i sui preziosi gioielli.
È una cosa splendida, incredibile, sarà una sorpresa. La mostra è una dei primi appuntamenti che riprendono di Parma 2020+21 e, al di là del fatto in se stesso, vuole essere un messaggio per la città: dobbiamo ripartire, con uno stile giusto, facendo tesoro dell’esperienza che abbiamo fatto. Sarà un segno di ripartenza.
Tatiana Cogo