† Sulla necessità dell’Antico Testamento (di Edoardo Poletì)

SMA MODENA
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TeoDaily – Con qualche giorno di ritardo mi unisco ai due interessanti articoli scritti dal direttore Andrea Marsiletti, il primo, e da Mori Paolo, il secondo.

Nel primo si esponeva l’idea di emendare le Scritture escludendo l’Antico Testamento, adducendo il tema dell’apparente incoerenza sia interna che riferita al Nuovo Testamento ed al messaggio evangelico nello specifico, oltre all’immagine che ne deriverebbe di Dio così in contrasto con l’immagine di Gesù, Figlio di Dio, vero Dio e vero Uomo.

Nel secondo articolo si sosteneva la tesi di Marsiletti, sostenendo che il Nuovo Testamento sia riconducibile ad un cambio di paradigma avvenuto grazie all’innesto nel Cristianesimo della filosofia greca e del neoplatonismo in particolare.

Nel ragionamento che qui propongo, ritengo utile iniziare dall’articolo di Mori: la tesi sostenuta a mio avviso, si fonda su una visione in cui si confonde la fede in Cristo con il pensiero cristiano, la filosofia cristiana. Infatti, è assolutamente vero che il pensiero cristiano abbia attinto dai τοποι della filosofia greco romana: d’altra parte la struttura del pensiero stoico così come quello platonico di prestava perfettamente per esprimere idee e visioni del cristianesimo permettendo così una più facile diffusione del pensiero cristiano in un mondo sostanzialmente ellenizzato.

Ma se i pensatori cristiani hanno attinto a questi modelli, la cosa significativa è la ridefinizione che ne è stata fatta, l’interpretazione che ne è stata proposta.

Prendiamo il pensiero stoico, della necessità per il vero sapiente di accettare quanto la Ragione della Natura presentava all’uomo: come non vedere l’assoluta sovrapposizione al concetto cristiano di accettare la volontà di Dio. Possiamo allora dire che cristianesimo e stoicismo siano la stessa cosa? Certamente no, parlare di Ragione della Natura o di Provvidenza è radicalmente differente nel suo significato e nelle sue implicazioni pur mantenendo una medesima struttura.

Riflettiamo un attimo sul significato che aveva nel mondo greco romano sino all’alto medioevo la filosofia: questa non era intesa come presentazione sistemica di un problema; piuttosto era un percorso che doveva convertire la vita delle persone, portarle verso la vera sapienza che non potendo essere mai raggiunta dall’uomo doveva accontentarsi di essere filo-sofo. Per gli antichi i testi, per altro sempre pensati per essere letti, e non studiati, erano il discorso sulla filosofia, gli strumenti per l’esercizio spirituale che doveva portare alla conversione, differenti per ogni scuola (stoica, epicurea, platonica, aristotelica), in quanto per gli antichi la filosofia era il filosofare ossia vivere coerentemente con tali principi; l’esempio più noto è certamente Socrate.



Si era filosofi anche se non si scriveva nulla ma si viveva. Quindi se la filosofia per gli antichi era vivere, se la filosofia doveva generare una conversione ci appare logico come lo strumentario messo a disposizione fosse estremamente congeniale al cristianesimo, il quale almeno in una prima fase potè anche presentarsi come una filosofia di vita. Un esempio di questa continuità sono gli esercizi spirituali, esercizi tipici della filosofia antica che avevano lo scopo specifico di allenare lo spirito in funzione della conversione di cui sopra ripresi dalla vita monastica o, esempio assai noto da s. Ignazio di Loyola. Da ultimo, ma non certo come elemento secondario, è bene ricordare che il pensiero cristiano non è la fede cristiana: si crede in Gesù, non in s. Agostino; il verbo eterno è quello di Dio non di s. Agostino o di altri pensatori cristiani.

Le apparenti contraddizioni che contengono i testi derivano dal fatto, che l’uomo per la sua natura finita non può contemplare l’infinito se non per sguardi parziali e ponendosi da punti di vista differenti per intuire il tutto, come per altro intuito dallo stesso Aristotele i cui testi hanno delle contraddizioni poichè, come dice egli stesso, riparte da un altro punto di vista.



Questo ci porta al primo articolo, quello di Marsiletti la cui tesi fondamentale mi pare possa dirsi essere che occorra eliminare l’Antico Testamento in quanto contradditorio e soprattutto perché presenta un’immagine di Dio in contrasto con quella del Vangelo. Qui il problema direi che sia legato al fatto che oramai, per colpa anche del modo di fare il catechismo, l’uomo moderno non è più capace di leggere correttamente i testi – e vale anche per il Nuovo Testamento.

Il Dio dell’Antico Testamento è un Dio ricolmo di amore, che crea l’uomo libero e ne rispetta la libertà anche a costo di vedersi negare, di assistere alla distruzione del creato da parte della creatura tanto amata. Certo è un linguaggio molto strano ai nostri orecchi, nato per un altro contesto culturale ma che ha sempre al centro un Dio di Amore e non di vendetta, la quale non è altro che un modo di esprimere il fatto che l’uomo quando si allontana da Dio cade vittima di se stesso, perde la capacità di percepire ed agire secondo il vero bene. Il problema è pertanto un problema di conoscenza profonda dei Testi che vanno saputi leggere tenendo presente a chi si rivolgevano in primis e dell’epoca.

Si dimentica sempre che, proprio perché le Scritture parlano di Dio, esse sono un cammino un disvelamento progressivo che però non potrà mai essere totale perché se vedessimo senza veli Dio non potremmo fare altro che credere ma a quel punto verrebbe meno la nostra libertà. A tal proposito viene in mente il testo dell’Esodo in cui Mosè chiede a Dio di vederlo; Dio acconsente ma si fa vedere solo di spalle, proprio per salvaguardare la libertà e la vita di Mosè, dell’uomo, di ogni uomo.

Un ultimo aspetto mi preme sottolineare dell’articolo di Marsiletti: egli presenta il messaggio cristiano come il libro delle belle intenzioni, come sarebbe bello il mondo senza le guerre, seguendo gli insegnamenti di Gesù.

Ma non è questo il fine del Vangelo, ne è piuttosto una conseguenza: scopo del Vangelo è conoscere Dio, ritrovare quella confidenza con Dio andata perduta con il peccato originale, riconoscere che il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio e che quel Verbo è venuto in mezzo a noi.

Ringrazio sentitamente Marsiletti e Mori per l’interessante confronto.

Edoardo Poletì