
Ancora oggi, se chiediamo ad un Italiano con più di ottanta anni, dov’era l’8 settembre del 1943, il giorno dell’armistizio, lo sa dire con precisione; e molti altri sanno dire dove si trovavano, quel giorno, i loro padri e nonni.
Nella prima serata gl’Italiani seppero dalla voce del Presidente del Consiglio, Pietro Badoglio, che era stato firmato un’armistizio tra Regno d’Italia da una parte e gli Stati Uniti e l’Impero Britannico dall’altra. Nella realtà era una resa incondizionata dell’Italia, già alleata della Germania nazista e del Giappone. Era lo sfilarsi dall’alleanza dopo una catastrofica disfatta militare dell’Italia di Mussolini, con la Sicilia ormai perduta, ma con ben sedici divisioni tedesche dislocate nella penisola, pronte a disarmare l’ex alleato.
Prima di analizzare quella”giornata particolare”é meglio riavvolgere il nastro della storia e ritornare alla caduta del Fascismo ed ai quarantacinque giorni del Governo Badoglio.
Il Governo composto, per volere del Re Vittorio Emanuele III, da militari, diplomatici, consiglieri di Stato, per avere la più bassa connotazione politica possibile, dopo il comunicato, al momento della nomina di Badoglio, il 25 luglio, dove veniva ribadito che la guerra continuava a fianco dell’alleato tedesco, cercò di arrivare alla pace separata con gli Anglo – Americani, nel terrore di essere scoperto dai Tedeschi, che continuavano ad affluire in Italia dal Brennero.
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L’annuncio il 25 luglio della caduta del Fascismo, tranne poche eccezioni, fu accolto con manifestazioni popolari, anche in favore del Re che aveva destituito Mussolini e provocato la caduta del regime. I bombardamenti anglo – americani, negli ultimi giorni di quel luglio furono di fatto sospesi, in attesa di vedere l’evoluzione della situazione italiana.
Nel mese di agosto, invece, furono, particolarmente, intensi su Milano, Roma e Napoli, per costringere il Governo Badoglio a chiedere la resa.
Tra la popolazione si faceva strada una semplice tesi: che senso aveva. a Fascismo caduto. continuare la guerra? Manifestazioni che invocavano la pace furono represse nel sangue dall’Esercito, in particolare a Reggio Emilia e a Bari; in pratica il paese era soggetto ad un governo militare. Il generale Roatta, capo di stato maggiore dell’Esercito, in una disposizione operativa, scriveva che nei confronti di chi turba l’ordine pubblico bisogna: “Sparare a colpire”.
Il Governo voleva assolutamente dimostrare, soprattutto ai Tedeschi, di avere in mano la situaszione.
In un Consiglio dei ministri del 2 agosto, furono smantellate le istituzioni fasciste, la Milizia fu assorbita nelle forze armate; i detenuti politici vennero liberati in due fasi, nella seconda anche i Comunisti e gli Anarchici.
In questo contesto l’apparato militare italiano, in quella estate del 1943, doveva giocare su due tavoli: cercare di stabilire contatti con Americani e Inglesi per giungere ad una pace separata, continuare ad avere relazioni con i Tedeschi, ancora alleati. con i quali si combatteva insieme.
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L’armistizio fu firmato il 3 settembre 1943 a Cassibile (Siracusa), da parte italiana dal generale Castellano e per gli alleati dal generale Bedel Smith, con efficacia dal momento della pubblicazione.
Il generale Castellano era tornato a Roma nella convinzione che l’annuncio di quella che, in realtà, si configurava come la resa senza condizioni dell’Italia, sarebbe stato effettuato il giorno 12 settembre. Tra la firma e la pubblicazione dell’armistizio continuarono i bombardamenti alleati sulle città italiane. Il fraintendimento sulla data dell’annuncio sarà una concausa rilevante degli eventi di quei giorni.
La sera del 7 settembre in missione segreta il generale americano Taylor, raggiunse Roma e contattatò Badoglio e il generale Carboni, comandante militare della capitale, per avere garnzie del controllo da parte delle forze italiane degli aereoporti intorno a Roma, al fine di effettuare il giorno successivo, dopo l’annuncio dell’armistizio, l’avioabarco di una divisione per difendere la capitale con le forze italiane da un eventuale attacco tedesco. Badoglio e Carboni non furono in grado di offrire le garanzie richieste e l’operazione fu annullata. La missione di Taylor un effetto lo aveva avuto: comunicare che il giorno seguente il governo italiano avrebbe dovuto annunciare l’armistizio per dare effecacia allo stesso.
Si arrivò al giorno fatidico, l’8 settembre, con i tentativi, vani, di Badoglio per cercare di posticipare la data di pubblicazione; alle 17.30 da Radio Algeri, il comando anglo-americano annunciò al mondo che l’Italia si era arresa.
Il Re il Governo e i comandi militari, messi davanti al fatto compiuto, dopo qualche minuto di esitazione, però consapevoli che in caso di disdetta dell’armistizio, già firmato, ci sarebbero state gravi conseguenze, decisero di confermare l’annuncio alleato; così Badoglio, alle 19.45, parlò alla radio dicendo che il Governo aveva chiesto l’armistizio al comando alleato che aveva accolto la richiesta, con la conseguente cessazione delle ostilità conro le forze anglo-americane, ma precisando che le forze italiane avrebbero reagito ad eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza, con chiara allusione agli ex alleati tedeschi.
Gl’Italiani si illusero che la guera fosse finita, invece il paese era destinato a diventare un campo di battaglia, anche di una guerra civile.
In quel momento le forze armate del Regno d’Italia intese come soldati, marinai, avieri, ed ex membri della Milizia, era di 2.850.000 uomuni, così dislocati: 2.000.000 sul territorio nazionale, 650.000 nei Balcani (Jugoslavia e Grecia), 200.000 in Francia meridionale e Corsica; però meno del 4%, pari a 10 divisioni, poteva considerarsi come forza operativa, pronta al combattimento. I Tedeschi, nella sola Italia, avevano già 16 divisioni.
Il giorno seguente, il Re, Badoglio e i comandi militari abbandonarono la capitale, alla volta prima di Pescara , poi di Brindisi, per non cadere in mano ai Tedeschi, lasciando, di fatto, senza ordini le forze armate, che iniziarono ad essere disarmate e catturate dalle forze tedesche, anche dopo episodi di eroica resistenza. In quel 9 settembre 1943 si costituì anche il Comitato Nazionale di Liberazione.
Inizia un’altra storia, che si concluderà nell’aprile del 1945.
Stefano Gelati