E’ intervenuto anche Giovanni Ricci (nella foto vicino ad Adriana Faranda), figlio di Domenico appuntato dei carabinieri ucciso in via Fani durante il sequestro di Aldo Moro, all’incontro promosso dalla Cgil di Parma denominato “Vivere e non sopravvivere” sulla cosiddetta “giustizia riparativa”. (leggi intervento dell’ex BR Adriana Faranda)
Il gruppo, che si ritrova ormai da anni, è composto da ex brigatisti e da ex figli delle vittime che si sono conosciuti e si confrontano in privato e in pubblico.
Giovanni Ricci spiega così com’è nata e i perchè di questa esperienza di dialogo tra due mondi che sembrano antitetici.
Vendetta
Nel ’78 avevo 11 anni quando mio padre venne ucciso. Quella foto senza lenzuolo era tutto ciò che mi rimaneva di lui. Mi animavano il sentimento di odio e la sete di vendetta. In quegli anni la società voleva vedere le vittime come persone che di battevano il petto per il dolore e piangevano davanti alle telecamere. Le nostre famiglie servivano non voglio dire come trofei, ma come simboli da usare contro i terroristi. “Le vedove di via Fani si danno fuoco se si tratta con i brigatisti” fu un titolo vergognoso di un giornale che mi sconvolse. Ci sentivamo soli, abbandonati. Tutto ciò ci faceva desiderare di farci giustizia da soli, ma in questo modo ci saremmo resi uguali a quelli che volevano colpire. A pensarci bene anche loro erano diventati dei simboli. Anche loro non dovevano essere considerati essere umani.
Perdono
Però questo odio non mi poteva ridare mio padre. L’unica via per non rivivere la sua morte ogni giorno era incontrare i “mostri neri”. Alla fine dello sconto della loro pena, dovevamo trovare qualcosa che andasse oltre il fine della storia. Attraverso dei mediatori, abbiamo iniziato un percorso insieme che è durato più di dieci anni. Fu Agnese Moro a portarmi all’interno di questo gruppo. Ho voluto affrontare questi ex brigatisti, queste persone. Nel 2012 ho incontrato Adriana Faranda e altri ex brigatisti. Conobbi anche Valerio Morucci, colui che uccise mio padre. Feci loro quelle domande che mi rimbombavano in testa da 40 anni. Ricevetti le risposte che né la magistratura, né la politica né la società civile mi avevano dato. Mi accorsi che mentre le mie ferite si erano ormai rimarginare, perchè io mi ero riappropriato di Domenico, loro portavano un peso più grande del mio. Nei loro occhi ho visto il dolore che pagano i loro figli e nipoti. Da quel giorno mi sono ricomposto con gli ex BR. Una volta tornato a casa ho preso in mano l’album di famiglia che erano decenni che non osavo guardare e l’ho sfogliato. Sono tornato a vedere mio padre come persona e non come morto. In questo mi ha aiutato anche Adriana. Il meccanismo del perdono scattò per libera scelta al termine dell’espiazione della pena.
Nuova coscienza collettiva
In nostro è un Paese che non riesce a fare i conti col proprio passato. Io li ho fatto, e per questo sono stato bollato perfino come pazzo. Chiedo che venga istituita una Commissione per andare oltre, per riconciliarsi come hanno fatto in Sudafrica. Creiamo una coscienza collettiva, per poter dire “io ho dato una mano”. A volte il dolore è necessario per costruire un mondo migliore.
Andrea Marsiletti
