Aeroporto di Parma: un patrimonio da salvare, non da chiudere (di Francesca Caggiati)

di UG


La questione dell’imminente chiusura dell’aeroporto “Giuseppe Verdi” di Parma ha sollevato un’ondata di preoccupazione e disappunto. E chi gioisce invece di questa situazione dimostra di ignorare completamente cosa significhi la mobilità e quale sviluppo porti su un territorio. Non si tratta solo di un’infrastruttura, ma di un nodo vitale per l’economia, il turismo e lo sviluppo generale della nostra città. Per chi, come me, ha dedicato tempo ed energie in passato a questo scalo, l’idea di vederlo chiudere, abbandonato, è inaccettabile.

Un potenziale inespresso

L’aeroporto di Parma, benché finora non sia riuscito a spiccare il volo, ha tutte le carte in regola per essere operativo e redditizio, nonostante la concorrenza degli aeroporti vicini. Oggi si parla di oltre 700k per raggiungere il break even point, mentre in passato uno studio del VVA Group aveva evidenziato come il punto di pareggio si potesse raggiungere anche con 500k passeggeri all’anno, una cifra tutt’altro che irraggiungibile e che si traduce con una media di circa 1.400 pax al giorno, tra arrivi e partenze.

La questione della pista

La pista così come è posizionata non è facilmente allungabile. Da un lato è delimitata dalla tangenziale e dall’altro dall’autostrada. Sì perchè un aeroporto si estende oltre i confini della pista di atterraggio e inizia con i primi segnali luminosi che sono ben visibili a ridosso della autostrada che passa all’altezza di Baganzola. Quindi a meno di interventi radicali che implicano anche espropri e una chiusura prolungata, che in Italia spesso si traduce in decenni, oltre ad ulteriori oneri, l’attuale pista difficilmente potrà essere allungata. Ma poi è davvero questo il problema? Serve proprio allungarla? L’aeroporto di Firenze, con una pista ben più corta – 1.560 metri, contro i 2.124 metri del Verdi – movimenta oltre 1.8 milioni di passeggeri all’anno. Il punto vero è attivare nuovi collegamenti e riempire gli aerei che già possono operare a Parma, non far atterrare i giganti del cielo.

Un passato di occasioni mancate

Durante la mia esperienza in Sogeap avvenuta in due riprese diversi anni fa (sono laureata in Economia dei Trasporti con una tesi sull’intermodalità), ho esaminato numerosi aeroporti, da Linate, a Bergamo, Bologna, Verona, Roma, ma anche realtà più piccole come quello dell’Isola d’Elba e di Biella per confrontare gli scali e capire quali erano le strade percorribili per migliorare il “Verdi”. Purtroppo ogni proposta si scontrava con un muro di ostruzionismo e tutto era un problema mai un’opportunità e le decisioni, se e quando venivano prese da chi di dovere, avevano tempi biblici.
Dalle fiere di settore come la BIT e il TTG portavo a casa ottimi contatti di tour operator e compagnie aeree pronti a programmare intere stagioni charter o attivare nuove tratte con partenza da Parma, e come bigliettino da visita lasciavo un cd contenente tutte le info tecniche di struttura e servizi, geografiche e di presentazione del territorio con tanto di musica di Giuseppe Verdi: una piccola e sudata vittoria quella della realizzazione del cd promozionale al posto delle vecchie e insipide brochure che come immaginato faceva colpo. Peccato che non avendo titolo per portare avanti trattative e concludere accordi, nessuno poi se ne occupava e tutto finiva nel nulla. Quante occasioni perse.

Un futuro possibile
Secondo fonti ministeriali i passeggeri degli aeroporti italiani raddoppieranno nei prossimi 10 anni.

Siamo proprio sicuri che chiudere l’aeroporto di Parma sia una scelta saggia? Il traffico aereo in costante aumento può tradursi nei numeri di cui sopra con voli passeggeri (70%) e qualche cargo (30%) – che poi stiamo parlando di 1 volo al giorno – se necessario estendendo l’orario operativo. Certo, la strada di accesso all’aeroporto andrebbe migliorata per consentire l’arrivo dei bilici, ma è un dettaglio.
Per quanto riguarda i passeggeri, puntare su charter stagionali e voli di linea mirati è una strada senza dubbio percorribile che porterebbe agevolmente ai 1.400 passeggeri al giorno necessari per la sostenibilità. Le leve su cui agire sono molte: nuove destinazioni, politiche promozionali, implementazione dei servizi, tariffe di handling competitive e accordi di rifornimento carburante in linea con gli altri scali.

Le mete? Oltre alle attuali città italiane, Capo Verde, Egitto, Spagna, Grecia, Parigi, Istanbul, persino Dubai o Sharjah, visti i crescenti rapporti tra il nostro Paese e gli Emirati Arabi.

Idee e olio di gomito: la sfida può essere vinta

Oltre le idee, che certo sono alla base di qualunque iniziativa, serve soprattutto impegno, volontà e determinazione. La chiusura dell’aeroporto non è neppure pensabile per un territorio che vuole far crescere il proprio valore e affermarsi. Le conseguenze non si vedrebbero oggi, ma segnerebbero certamente un mancato sviluppo domani. Chi ne ha il potere deve fare tutto il possibile per evitare questa chiusura, ognuno per la parte che gli compete: dall’UPI, alla Regione Emilia Romagna, passando per le Istituzioni locali che sono preposte al bene del territorio. L’aeroporto è un patrimonio da salvare, non da chiudere. L’attuale società di gestione non è più in grado di operare? Se ne crea un’altra. La proprietà dell’infrastruttura è dello Stato ed è l’ENAC – Ente Nazionale Aviazione Civile – che aggiudica tramite gara a chi affidare la concessione pluriennale di gestione di uno scalo: non è un affare privato, ma una questione di governo della res publica in mano a soggetti privati.

Francesca Caggiati

Copyright © 2007-2025 ParmaDaily.it

PrivacyCookies

direttore responsabile

Andrea Marsiletti

Copyright © 2007-2025 ParmaDaily.it

PrivacyCookies