Beach Boys: “Pet Sounds” (1966), le creature sonore fantastiche di Brian Wilson

SMA MODENA

La scomparsa di Brian Wilson, musicista eccellente e geniale leader dei Beach Boys, impone una riflessione su una delle band più influenti degli anni 60, che hanno dato una scossa alla nascente cultura pop e rock… I Beach Boys appunto, per molto tempo “confinati” dalla critica in ambito californiano, come se la loro fosse musichetta da spiaggia. Come se il loro nome fosse banalmente una sigla precisa del loro status.

In realtà Brian Wilson è uno dei principali compositori, arrangiatori e musicisti contemporanei. Capolavori come “Pet Sounds” restano nell’olimpo della musica pop e rock, senza timore di confronti con nessuno, primi tra tutti i Beatles, che molti in quegli anni paragonarono ai Beach Boys, in una sfida angloamericana – che fu sentita dai protagonisti (in particolare da Wilson), che diventò mediatica (ma non iconica come quella tra Beatles e Rolling Stones) …ma che in realtà non aveva molto senso, come la gran parte delle sfide musicali. La cosa buona è che generò reciproca stima ed ascolto tra Wilson e Paul McCartney in particolare.

Quali sono gli elementi che esaltano la musica dei Beach Boys?
Innanzitutto, risulta evidente, l’uso delle armonie vocali e la qualità stessa delle voci. Qualcosa che si è perso quasi del tutto nella produzione musicale attuale (ma che già entro in declino con l’avvento delle supervoci rock negli anni 70), salvo tornare in modo ciclico, ad esempio con i Queen… e più recentemente con i Fleet Foxes.

L’armonia vocale raggiunta in pezzi mitici come “Good vibrations” è di livello superiore a quello di tutte le altre band in ambito pop e rock. Una ricerca continuata da Brian Wilson anche nei lavori solisti: riascoltatevi “Smile” (2004) per cogliere la grandezza dei suoi arrangiamenti vocali, anche senza i Beach Boys. Su “Smile” andrebbe aperto un capitolo a parte: avrebbe infatti dovuto essere l’album seguente a “Pet Sounds” – una specie di risposta in tempo reale a “Sgt. Peppers” dei Beatles – ma divergenze a livello produttivo e di band ne impedirono l’uscita. Nel tempo acquisì un’aura leggendaria come “lost album”. Brian Wilson lo ripubblicò con la sua band nel 2004, con un buon successo di critica e pubblico. Nel 2011 uscirono le originali “The Smile sessions” dei Beach Boys – senza sovraincisioni – anch’esse con ottimo successo. L’album si chiude con “Good vibrations” appunto. La qualità rimane nel tempo…

La musica californiana è una bestia strana, che ritorna ciclicamente in auge, con schemi rinnovati, ma con un’attitudine particolare a recuperare le lezioni dei maestri: così anche i Red Hot Chili Peppers talvolta pescano nel surf sound e nella voglia di recuperare quell’approccio attualizzandolo e mettendolo a servizio del loro sound (questo soprattutto grazie a John Frusciante)… negli anni 90 sia i Blink 182 che i canadesi Sum 41 – in anni di pop punk – hanno giocato con le armonie elementari ma efficacissime che per primi i Beach Boys misero in circolo. Così come hanno fatto i celebri Green Day (a proposito, oggi a Firenze Rock) e persino i Sistem Of A Down, molto attenti agli incroci vocali, nonostante il genere di queste band sia lontanissimo dal surf e dalla sensibilità musicale di Brian Wilson.
Non dimentichiamo poi, sul piano commerciale, in pieni anni 80, un ruggente David Lee Roth che, in uscita dai Van Halen, trovò un grande successo con la riproposizione di “California girls”, singolone dei “ragazzi da spiaggia”.

Questi sono solo alcuni esempi, più o meno diretti, dell’influenza ciclica dei Beach Boys nel rock e nel pop, non solo americano ma, come avviene per i geni, a livello universale… e credo che l’influenza non possa che aumentare, soprattutto nel caso di un recupero e valorizzazione della vocalità corale nella musica. Auspicando che possa avvenire, dato che il buon uso produce sicuramente musica migliore, in vari generi.

 

Tornando a “Pet Sounds” si può dire sinteticamente che l’album fu una svolta netta rispetto al classico surf sound degli album precedenti: Brian fu il protagonista di questo cambio, in quanto autore di tutte le canzoni (con l’aiuto di Tony Asher ai testi) e per concentrarsi sul (capo)lavoro decise di rinunciare ad andare in tour coi Beach Boys, scelta che ovviamente generò tensione nella band. Si dice che il titolo – ovvero “suoni animali” – derivi da una battuta di Mike Love che, decisamente non in linea con la svolta, disse: “chi ascolterà questi versi di animali?”.

Possiamo dire che Love non fu molto profetico: canzoni come “Wouldn’t it be nice”, “God only knows”, “Caroline, No” e altre ancora contenute in questo album sono destinate all’olimpo della grande musica di ogni tempo… Senza contare che “Good vibrations” era inizialmente pensata per essere inserita, ma poi fu esclusa dallo stesso Brian Wilson (mattacchione!), con grande sorpresa degli altri Beach Boys.

Tuttavia, come succede per le operazioni innovative, l’album richiede pazienza di assimilazione: non è un album immediato ed è frutto di una lavorazione e di una registrazione molto accurata. Brian Wilson si ispirò, tanto per cambiare a “Rubber Soul” dei Beatles, che per lui diventò un riferimento come qualità e innovazione musicale. Ascoltandolo, si sente molto l’influenza di Burt Bacharach tra le righe.
Dopo la pubblicazione dell’album, non un grande successo commerciale (la sua reputazione crebbe negli anni successivi fino ad oggi, diventando per acclamazione uno dei capolavori principali del pop anni 60), iniziarono i dissidi tra Brian Wilson e i Beach Boys, che negli anni arriveranno all’abbandono, dovuto a problemi di droga e stabilità mentale, che Brian supererà solo molti anni dopo, tornando alla pubblicazione di album dopo il 2000, in cui spicca “Smile” che contiene, come da idea iniziale, il capolavoro “Good Vibrations” e ottime canzoni come “Heroes and Villains”.

Ma l’epopea dei Beach Boys era ormai irripetibile: il surf rock era diventato un genere storico e loro i suoi leggendari interpreti.

Brian Wilson ci lascia tracce molteplici della sua genialità, purtroppo convissuta con la sua travagliata esistenza, segnata (parlo per metafore e non da biografo) da quella che Baudelaire definisce per i poeti la condizione dell’albatro, tanto svettante nei cieli musicali (in questo caso) quanto goffo e fuori luogo quando gli tocca starnazzare sulla terra, affrontando le difficoltà quotidiane e i passaggi impegnativi della vita sociale.

Il tempo però si è rivelato gentiluomo: Brian Wilson ha potuto riprendere l’attività musicale e togliersi ancora grandi soddisfazioni. Tra le quali vedere nel 2003 “Pet Sounds” piazzato al secondo posto dei 500 migliori album secondo l’autorevolissima rivista “Rolling Stone”.

A proposito …indovinate chi è al primo posto? Eh già: “Sgt Pepper’s Lonely Heart Club Band” dei temibili Beatles …a riprova che i suoi timori non erano affatto infondati.

 

Recensioni necessarie #16

Alberto Padovani