
Sono sessanta anni, giusti, dalla entrata in vigore della legge che costituì l’ente pubblico economico Enel (Ente nazionale per l’energia elettrica) che sostituì, a seguito di un indennizzo, le società elettriche private, diventando monopolista legale nella produzione e distribuzione dell’energia elettrica.
Nello spazio temporale di un mese, a fine anno, furono varate due riforme di struttura molto importanti: la nazionalizzazione elettrica e l’istituzione della scuola media unica, con il relativo innalzamento dell’obbligo scolastico. Si può dire che il dicembre del 1962 fu il mese più “riformista” della storia repubblicana.
Nel febbraio del 1962, si costituì il IV Governo Fanfani, tripartito, Democrazia Cristiana, Partito Socialdemocratico, Partito Repubblicano, con l’appoggio esterno del Partito Socialista; nel programma era prevista la presentazione, entro tre mesi, del disegno di legge che prevedeva la nazionalizzazione dell’energia elettrica. I Socialisti, la posero come questione determinante per partecipare alla maggioranza e continuare la collaborazione con la Democrazia Cristiana.
Il mercato elettrico italiano, per quanto riguarda la produzione e la distribuzione a privati ed aziende, era strutturato in imprese che avevano una chiara ripartizione territoriale; da noi operava la Società Emiliana di Esercizio Elettrico S.E.E.E., meglio nota come: “L’Emiliana”. Le principali imprese su, varie parti del territorio nazionale, erano undici, che nei vari ambiti regionali o anche pluriregionali, operavano in regime di quasi monopolio. Una situazione di potenziale svantaggio per gli utenti.
La discussione si focalizzò su come portare dalla parte pubblica il sistema elettrico e poi su come indennizare le pre esistenti società.
Il Governatore della Banca d’Italia, Guido Carli, era sulla posizione di acquisire, attraverso l’I.R.I., le azioni delle varie società, che sarebbero rimaste operative, con lo Stato azionista.
La legge approvata dal Parlamento nel novembre 1962, scelse un’altra via, quella della costituzione ex novo di un ente pubblico che riceveva i conferimenti delle imprese private, con relativo indennizzo, ai sensi dell’art. 43 della Costituzione. L’importo dell’indennizzo previsto dalla legge era di 1500 miliardi di lire, cifra molto consistente, in rapporto al valore della moneta di quel tempo, che lo Stato doveva pagare in dieci anni, ad un tasso d’interesse del 5,5%.
Il leader repubblicano Ugo La Malfa propose di rimborsare gli azionisti, ma furono indennizzate le società; molte cambiarono, radicalmente, settore economico e non ebbero successo perché avevano delle dirigenze non abituate ad operare in mercati concorrenziali.
La Confindustria, Fiat compresa, si mostrò contraria alla nazionalizzazione elettrica per due motivi:
1) gl’industriali privati temevano che si aprisse una serie di nazionalizzazioni, con una conseguente compressione del loro ruolo;
2) l’indennizzo, l’arrivo di denaro fresco alle società elettriche private, correva il rischio di alterare gli equilibri nell’assetto dell’industria privata, facendo entrare nuovi soggetti, potenzialmente forti, in vari settori.
Nel 1962 gli esempi stranieri che portarono alla costituzione di un ente pubblico economico, erano presenti in Francia e nel Regno Unito.
Soprattutto in Francia dove dal 1946, fu istituito l’ente di Stato, l’EDF, Elettricité de France, monopolista legale nella distribuzione, ma non nella produzione di energia elettrica. Nel Regno Unito nel 1947 venne promulgata la Eletricity Act.
Negli anni novanta si procedette a privatizzare il settore elettrico; Enel nel 1992 si trasformò in Spa divenedo un soggetto di diritto privato, ma l’azionista di riferimento é pubblico per eccellenza: il Ministero dell’ Economia e delle Finanze. Nello stesso periodo le privatizzazioni furono intraprese anche in Francia e nel Regno Unito.
Quest’anno il governo francese ha proposto di “rinazionalizzare” l’Eletricité de France.
Stefano Gelati