“Oggi mi sono messo in ferie. Non perché avessi bisogno di ferie, ma perché ieri sera ero a un concerto fuori città e sapevo che avrei fatto tardi. Ho approfittato per vedere un amico a pranzo e, ben più importante, visitare le cosiddette “piazze dello spaccio”. Ovunque per la città, senza esagerare una o un paio in ogni quartiere. Paradossalmente posti dove non c’è nulla da temere, nessuno vuole problemi con “la gente normale” ma è pieno di “zombie” che valicano strade, prati e marciapiedi.”
Lo scrive Guido Canali, portavoce del sindaco Michele Guerra, sulla propria pagina Facebook.

“Ho cercato di capire perché. Senza moralismi, non fa parte di me. Il consumo di crack aumenta senza sosta, lo si vede a occhio nudo, per lo più tra le fasce “basse” della popolazione, ma capita anche di incontrare cognomi “illustri”, parenti e amici di chi contesta il fenomeno senza sapere che ci vive insieme. O sapendolo, ma essendo troppo debole per affrontarlo. Non li faccio questi (cog)nomi, scadrebbe tutto nel gossip. È una lunga lista, talmente problematica che farebbe venire i capelli bianchi a molti che già li hanno e catechizzano dall’alto della propria posizione di rendita.
Chi ha vissuto più di me, che sono nato negli anni ‘90, sostiene che sia molto simile all’epidemia dell’eroina. Non ho vissuto quell’epoca. Ho visto qualche persona a cui voglio bene finire male, in coda al periodo. Alcuni non si sono più ripresi, altri l’hanno scampata. E va bene così, anche senza eroina succede. Può succedere a molti di perdersi. Come contestarli, nell’obbrobrio di questo mondo servono vie di fuga, più o meno lecite.
Ho pensato a mio padre, un medico dell’Oltretorrente che quando percorrevamo piazzale Picelli per tornare a casa trovavamo il Sert dove ora c’è la Croce Rossa, ragazzi e ragazze letteralmente blu da overdose dove adesso ci sono le fioriere e persone che si divertono. Ogni santo giorno, quando tornavamo a casa, c’era qualche “tossico” da coccolare, che fosse una “pera” di Narcan o una buona parola per evitare il peggio. Perché un po’ di affetto, senza la pretesa di cambiare la vita altrui, può essere utile a farti capire che c’è chi ti vede e ti vuole bene. Qualcuno ce la fa. Non per merito nostro, spesso per caso.
Siamo tornati là, in quel mondo. Il problema non è la sicurezza, ma la disperazione. Non è la povertà, ma l’assenza di prospettive dignitose. Non è la droga, ma il sistema che la induce nel silenzio assordante di molte istituzioni.
Sarebbe interessante lavorare su questo, darsi obiettivi seri, dare una mano. Insieme. Quando dici a queste persone “proviamo a trovare una comunità” piangono di gioia. Quando dici a queste persone “passa mezz’ora con me, andiamo a mangiare un panino” piangono di gioia. Sanno perfettamente che ciò che vivono è una merda senza possibilità di ritorno. Fino a quando saremo nuovamente coinvolti per fare un po’ meglio di come va. Aspettano una chance. Qualcosa che può farli uscire da un incubo. Sanno anche di “dare fastidio”, nonostante non sia compreso.
Servono i miracoli. Bisogna farli. Senza beatificazioni e pubblicità progresso, ma col cuore in mano e le palle sul tavolo. Di tutti.”

