I promotori del corteo antifascista rispondono a Priamo Bocchi

di UG

Di seguito la lettera aperta con cui i firmatari, promotori della manifestazione antifascista svoltasi a Parma il 1° marzo 2025, replicano a quanto loro contestato dal capogruppo di FDI in Consiglio comunale nella lettera aperta pubblicata dalla Gazzetta di Parma lo scorso 3 marzo a firma Priamo Bocchi.

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Gentile Direttore,

in risposta a quanto apparso sul suo giornale, nella cronaca politica, in merito alla manifestazione antifascista tenutasi sabato 1 marzo, ci corre l’obbligo, come promotori di tale evento, di rispondere al signor Priamo Bocchi.

Nei pretesti non si muovono manifestazioni. Chi parla di pretesti – come del solito “c’è qualcosa di più importante da fare” – si nasconde dietro al populismo più spiccio, dietro la giustificazione verso sé stessi di poter non muovere i glutei, al massimo di mostrarli, com’è noto. Chi non sa di che parla si nasconde dietro la normalità, dietro ciò di cui si vuole convincere, dietro analisi storiche e altrettante note analisi sociologiche inventate, dietro l’inadeguatezza oltre alla malafede di non saper scorgere rigurgiti fascisti in un testo che recita: “Chi parla sempre troppo prima o poi sarà purgato / Chi gioca con i tasti prima o poi sarà pestato / Chi accusa e poi diffama prima o poi sai pagherà / Tu resta sui tuoi passi, non subire la pietà!”.

Ma d’altronde è normale, regolare, legale, sono le stesse frasi dirette a giornalisti, quali Saviano, proprio da chi governa questo paese. Dietro l’altrismo e la ricerca di pretestuosità sta evidentemente la vigliaccheria, perenne amica, di chi vorrebbe la città e il mondo proprio come nei testi innocui di regolari, legali, perfettamente normali eventi fascisti che recitano ancora: “Tremano i deboli arbusti a vista / Del legno nobile dello squadrista / E non è un gioco, non è una partita / Ma semplicemente uno stile di vita / Ci senti passare tra sorrisi e canti / A caccia di rossi, borghesi e mercanti / Corri, camionetta, non ti fermare / La tua non è moda, non è folclore / Fai tremare l’usuraio e il comunista / Corri, scappa, arriva camionetta squadrista”

Come al solito è l’anormalità e la debolezza che spaventa, quindi si ritorna al crack, al degrado, cavalli di battaglia di una sterilità politica che fugge tanto quanto si mostra forte. Quando si tratta di fare i forti la legalità e la regolarità aiutano, così come le volontà assolute e legittime del democraticamente eletto, delle quali abbiamo copiosi esempi contemporanei. La grettezza storica del considerare l’Africa quale culla di arretratezza e dittature, e considerare l’Europa democratica, che gliela ha insegnata e che allo stesso tempo è tutti i mali ma che va bene da sbandierare, perché la confusione dell’odio multidirezionale dà consenso, è quanto meno degradante per le istituzioni e per coloro che le rappresentano, così come ergere a simboli di male universale elementi di legittima lotta politica quali Intifada e lotta di classe.

I paradossi dei segni di un linguaggio ancorato ad un’idea gerarchica tra razze e popoli, retoriche evoluzioniste e civilizzatrici di un approccio storico atavico e regressivo, mentre però si elevano accuse di anacronismo, sentenziando che la fine del fascismo risalirebbe a 80 anni fa.

Sul punto più basso della città di Parma un buon indizio è sulla lapide posta in piazza Garibaldi, quella contigua al Comune per i più disattenti, che ricorda i 7 martiri trucidati dalla brigata nera, e per il quale non si è mai speso tempo “a sporcarsi le scarpe”, forse per paura che arrossiscano, che si infanghino. Indicare una manifestazione pacifica e democratica di migliaia di persone come uno dei punti più bassi della storia della città indica forse un po’ d’invidia, alla quale centinaia di fascisti “regolari” in festa forse non sopperiscono, ma cela anche qualche disagio istituzionale difficilmente giustificabile. A proposito di emergenza democratica, non tutto rientra in essa e confondere, presumibilmente volontariamente, problemi politici quali raduni fascisti con problemi sociali quali la tossicodipendenza è ancora una volta strumentale. Ma c’è tempo per riprendersi alla prossima, per cogliere un’occasione di riflessione silente o per aggiungersi.

O forse ha paura di sporcarsi le scarpe? O l’elettorato?

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