Il via libera della Regione Emilia-Romagna è arrivato il 22 giugno scorso e, dopo tre mesi di stop, hanno riaperto anche le case di riposo all’ingresso dei nuovi ospiti, le visite dei famigliari erano invece già consentite dal 15 giugno.
Ma niente sarà come prima: rigidi controlli sulla salute dei pazienti, niente cancelli sempre aperti, nè pranzi della domenica con i familiari.
Sono stringenti le misure di contenimento del contagio e dunque le linee guida regionali prevedono per i parenti degli ospiti ingressi limitati e scaglionati, visite su appuntamento, con misurazione della temperatura e una durata indicativa di trenta minuti.
Abbiamo fatto il punto su quanto accaduto nei mesi scorsi e sulle prospettive future del settore con Giampaolo Lavagetto, oggi responsabile sanitario a Villa Ramiola (casa di riposo a Medesano) e Villa Pigorini (casa protetta per anziani a Traversetolo) dove è anche referente Covid.
Lavagetto, fino a fine marzo, è stato responsabile medico, in cure intermedie e Hospice della più grande Rsa di Mantova e dunque ha avuto modo di vivere due modelli diversi di gestione sanitaria, quella lombarda e quella emiliano-romagnola.
Qual è il tuo personale bilancio sull’esperienza come responsabile sanitario di alcune strutture per anziani del parmense nella fase appena passata di lockdown?
È stata un’esperienza molto profonda che mia ha duramente provato sia sotto l’aspetto professionale che umano. Noi che operiamo in queste strutture, sia come sanitari che come operatori socio assistenziali, sentiamo forte la responsabilità che ci viene affidata nel compiere il nostro servizio. I nostri pazienti sono padri, madri, nonni, figure importanti soprattutto per il loro ambito famigliare, ma che per la nostra società rappresentano un fondamentale patrimonio di valori, di storia e di tradizioni. È quindi necessario, per le loro fragilità, sapere garantire le necessarie cure, nel rispetto e nella tutela della loro dignità.
L’emergenza Covid, per l’impreparazione in cui si è fatto cogliere il nostro sistema sociosanitario, ha portato, purtroppo, a una dura prova nella capacità di garantire tutto questo. Accanto al dramma dei decessi, infatti, altrettanto pesante è stata la situazione di isolamento che per più di tre mesi gli ospiti delle strutture hanno dovuto sopportare e che in parte ancora oggi vivono. È stata, quindi, una battaglia durissima, sia dove siamo riusciti a non fare entrare il virus, sia dove alla fine siamo stati capaci di rigettarlo fuori.
Questa prima ondata l’abbiamo superata grazie al sacrificio e al senso di responsabilità dei nostri operatori che, improvvisamente, si sono trovati in prima linea in una battaglia per la quale non avevamo né l’adatta preparazione, né le sufficienti informazioni, né i mezzi e gli strumenti adeguati. Credo che questa sia stata una difficile e tragica esperienza che però ci ha fortemente maturato sotto l’aspetto professionale e umano.
Le case di riposo sono state nell’occhio del ciclone a lungo nei mesi scorsi, tu hai duplice esperienza sia in Lombardia che in Emilia-Romagna, Regioni che hanno proposto due modelli sanitari differenti. Qual è il tuo giudizio?
Come per il resto del Paese, si è pagata la sottovalutazione di ciò che stava per arrivare. Questo prima ha fatto saltare il filtro territoriale causando l’onda d’urto che ha travolto gli ospedali, successivamente, quando quest’onda è rimbalzata sul territorio, ha trovato senza barriere sufficienti la seconda linea di attacco, che sono state le strutture sociosanitarie residenziali per anziani.
Il risultato è che alla fine, sia le Rsa lombarde che le Cra emiliano romagnole si sono trovate a dovere gestire al loro interno veri e propri reparti Covid, le famose aree rosse, senza però la preparazione organizzativa, professionale e di sostenibilità economica di un reparto ospedaliero. Seppure supportati clinicamente dall’importante lavoro delle Unità Mobili, ti garantisco che gestire una simile situazione in una Cra è letteralmente un incubo. Lo è per i pazienti, lo è per i famigliari, ma soprattutto lo è per gli operatori, costretti a lavorare in una sorta di ambiente lunare, con mascherina, visiera, guanti, cuffia, calzari e avvolti da tute idrorepellenti per l’intero turno di lavoro, nella costante apprensione sia per la salute dei propri ospiti, che per il rischio di portare il contagio a casa. Per il futuro, quindi, non solo per la questione Covid, il maggior peso della componente sanitaria dato dal modello delle residenzialità lombardo potrebbe giovare anche al sistema della nostra Regione.
Il 22 giugno scorso le Cra e le altre strutture residenziali per anziani hanno ripreso ad accogliere nuovi ospiti. Oggi come è la situazione? C’è una ripresa?
Il ciclone che si è abbattuto sul nostro settore ha fatto danni enormi. Di fatto noi siamo usciti dalla fase 1 il 22 di giugno, dopo oltre 100 giorni durante i quali i nostri cancelli sono rimasti chiusi a visitatori e nuovi ospiti. Accanto ai danni in termini di vite umane, affettivi e psicologici, questo ha avuto pesanti ripercussioni anche sulla sostenibilità economica dei servizi offerti da questa tipologia di struttura. Oggi, l’iter di riapertura previsto dalla Regione è comprensibilmente molto rigido per le nuove accoglienze. Un primo tampone nasofaringeo per ricerca Covid-19 entro le 72 ore dall’ingresso, poi, se negativo, 14 giorni di isolamento in stanza singola in struttura, seguito da un secondo tampone di controllo. Un percorso che tende a mettere dubbi e apprensione al famigliare che intende valutare l’opportunità di accedere al servizio, oltre che mettere ancora in sofferenza l’organizzazione e la gestione della struttura.
Contemporaneamente, è partito un monitoraggio periodico con tampone nasofaringeo a tutti gli operatori ed ospiti delle strutture nel territorio, tenendo in costante apprensione le nostre realtà per la malaugurata ipotesi del possibile soggetto positivo asintomatico che comporterebbe la messa in quarantena della struttura con relativo blocco temporaneo a nuovi ingressi.
Se a questo si aggiunge che le linee guida prevedono ancora che l’eventuale paziente positivo venga gestito in struttura con allestimento di relativa area rossa e tutto quanto questo comporti, si giustifica l’ansia che avvolge operatori e gestori ogni volta che si misura una temperatura che sfiori i 37 gradi o si attenda l’esito del tampone di monitoraggio. Come ho già avuto modo di dire a qualche amministratore regionale, le nostre strutture durante l’emergenza Covid hanno fornito un importante supporto al servizio sanitario regionale svolgendo un ruolo che, seppure oltrepassava le nostre competenze, abbiamo svolto con convinzione, professionalità e dedizione. Credo sia giusto ora che l’amministrazione regionale riconosca questo sacrificio anche in termini di sostenibilità economica.
La Regione Emilia-Romagna ha emesso una nuova ordinanza che regolamenta l’accesso alle case protette compreso le visite dei parenti degli ospiti cosa cambia? Saranno misure sufficienti?
La mia deformazione professionale mi porta a sostenere che “prevenire sia meglio che curare”. Quindi, condivido in questa fase l’introduzione di misure precauzionali per i visitatori. Devo dire che in generale queste misure sono accettate e comprese anche dagli stessi famigliari. Ho maggiori dubbi sulle restrizioni ancora vigenti all’interno della struttura per gli ospiti già presenti, come il mangiare ancora in stanza o relativamente ai servizi di animazione e attività motorie. Se nei giorni scorsi la Regione ha deliberato che nei circoli per anziani si può tornare a giocare a carte e leggere i giornali, non vedo perché si debba diffidare della capacità dei nostri operatori di garantire una ritrovata socialità dei nostri ospiti in piena sicurezza.
Cosa ti aspetti ad ottobre quando, per stessa ammissione dell’Oms, ci sarà un probabile e consistente innalzamento dei contagi?
Mi aspetto che il nostro sistema impari da quanto successo per apportare i giusti adeguamenti al nostro settore. L’indirizzo dato verso l’unificazione delle due aziende sanitarie territoriali, Ospedale ed Asl, spero rappresenti, finalmente, la consapevolezza del legislatore regionale della necessità di rivedere l’organizzazione del sistema socio-sanitario territoriale. Come quello nazionale, anche quello regionale è ormai all’interno di una “tempesta perfetta” con l’invecchiamento della popolazione, l’aumento delle malattie croniche, le difficoltà sociali, a cui oggi si sommano le disastrose conseguenze della pandemia. La politica socio-sanitaria in atto nella nostra Regione, quindi, richiede un ripensamento complessivo libero da pregiudiziali ideologiche e contrapposizioni politiche, evitando l’errore già fatto in precedenza di sfociare in un’ostativa logica autoreferenziale di burocratizzazione del sistema, nonché rivedere la catena delle responsabilità pubbliche, riducendo quelle centrali a favore di quelle locali.
Quindi, se in autunno ci sarà un nuova emergenza, le strutture saranno pronte ad affrontarla. Confido che lo sarà anche il sistema sociosanitario del territorio.
Tatiana Cogo