Niccolò Fabi, il cantore gentile dell’Italia postmoderna: “La cura del tempo” (2003) e “Una somma di piccole cose” (2016)

SMA MODENA
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“Facciamo finta” – per citare sin dall’inizio Niccolò – che si possa fare una recensione che riguarda due parti di album, entrambe perfette ed entrambe ideali per descrivere il suo valore musicale e artistico.

Ecco, con sacrifici abbastanza evidenti di repertorio, andremo a scegliere la prima parte de “La cura del tempo” e la prima parte di “Una somma di piccole cose”. *

Niccolò Fabi, dopo la sbornia iniziale di canzoni leggere – da “Capelli” a “Dica” – sebbene sopra la media, ha deciso di salire gradualmente di livello, scegliendo Sanremo, sipario inusuale per dare un primo segnale deciso, con “Lasciarsi un giorno a Roma”, quella che sarebbe diventata la canzone manifesto della sua prima parte di carriera, dove peraltro spiccano una meravigliosa “Rosso” e altre primizie.

Il fighettino con la voce leziosa stava salpando per viaggi nuovi, dove si sarebbe scrollato di dosso l’etichetta un po’ stretta del “giovane cantautore pop di successo” per abbracciare progressivamente, con un tasso di classe crescente, quella di Artista della Canzone d’autore, quale oggi Fabi deve essere assolutamente considerato.

Niccolò Fabi è infatti uno dei pochi autori italiani capaci oggi di condensare in 4 minuti di canzone una pari dignità testo/musica/arrangiamenti, contribuendo in questo modo a farne un capolavoro (è successo più di una volta, anche di recente).

La sua importanza nel contesto attuale, dove tutto tende alla velocità di apparizione e scomparsa – dove quindi una canzone, come altre forme d’arte, dura davvero un “tempo piccolo” (per citare il grande Califano) – dicevamo, l’importanza della musica di Niccolò è quella di proporsi con una prospettiva a medio-lungo termine. Come lo erano, come lo sono ancora i classici dei cantautori anni settanta. È un’ambizione che lo rende refrattario a tanti contesti, ma è la sua vera potenza.

Se “La cura del tempo” è la prima maturità, quella esibita con pienezza, dove i graffi e le sconfitte della vita sono ai margini, “Una somma di piccole cose” vede tutto il senso del ripiegamento, diventando a mio parere il “Nebraska” italiano (che per me è uno dei più bei complimenti che si possano fare ad un album).

Certo, prenderemo la prima parte di entrambi, perché Fabi tende sempre o quasi ad indulgere nelle seconde parti, perdendo in intensità: così ne uscirà l’album monstre!

Sono due album profondamente differenti nella produzione: “La cura del tempo” vede ottimi musicisti al servizio del progetto… ad esempio Stefano Di Battista al sax e Agostino Marangolo alla batteria, per stare sui nomi più noti.

Nell’album ci sono alcune perle, che mostrano tutta la sensibilità autorale di Fabi, tra le quali “Mimosa” e “Offeso”, che vede un duetto meraviglioso con Fiorella Mannoia… “E allora dillo pure che sei offeso, dalle donne che non ridono, dagli uomini che non piangono, dai bambini che non giocano, dai vecchi che non insegnano… Quando vivere diventa un peso… Quando nei sondaggi il tuo parere non è compreso… Quando davanti al sole la mattina non sei più sorpreso”. Parole dotate di un peso specifico notevole, sostenute da trame armoniche leggere ed ariose.

Una Somma Di Piccole Cose - Album di Niccolò Fabi | Spotify

 

“Una somma di piccole cose” invece è frutto di un’autoproduzione rigorosamente minimale, in cui gli strumenti, prevalentemente acustici, sono quasi tutti suonati dallo stesso Fabi.

Curiosamente questo album, che poi riceverà una meritatissima “Targa Tenco” nel 2016, nasce dal periodo che forse coincide con la maggiore esposizione e successo, ovvero il tour che seguì “Il padrone della festa”, album prodotto a sei mani con Max Gazzè e Daniele Silvestri. Un grande successo di pubblico a cui seguì un bisogno di silenzio e ripiegamento nella natura… Infatti Niccolò si trasferì per un certo periodo in un casolare nelle campagne laziali, dove concepì e registrò “una somma di piccole grandi canzoni”. Ascoltandolo il tempo si ferma, come succede davanti ai capolavori.

Il cantore gentile della postmodernità italiana ancora oggi continua a stupire, centellinando le uscite e regalandoci piccoli cambiamenti in una continuità di fondo che ormai è il suo stile, che Fabi con onestà artistica non stravolge ogni volta.

Ma il cantore, sebbene sia gentile, non schiva i temi pesanti, da quelli esistenziali a quelli sociali, a quelli ambientali (a lui particolarmente cari): basti ascoltare e vedere l’ultimo singolo – “Acqua che scorre” – registrato in una baita montana, corredato da uno splendido video, che suona come riflessione escatologica sul destino dell’uomo e del mondo: “lo sanno tutti, forse è già tardi”.

Come un “prof” che non alza la voce, ma scuote da dentro le coscienze, abbiamo bisogno della sua voce e delle sue parole per trovare un orientamento nella nuova musica che diluvia nello streaming continuo. Ma ancora di più per trovare un senso in quello che chiamiamo musica, o musica d’autore… ed invece è impasto di vita ed arte, filosofia e politica. Laddove oggi l’unica politica possibile fuori dalle “lobby dei palazzinari infiltrate nei consigli comunali” è “una somma di piccole cose” che vanno ad incidere sull’azione collettiva.

Alberto Padovani

Recensioni necessarie #15

* (vedi il mix nella playlist che vi allego, in cui ho inserito anche “Costruire” perché non ne voleva sapere di restare fuori e “Vento d’estate” perché ormai è stagione)