
Il primo caso di peste suina africana fu certificato alla fine del gennaio scorso: furono ritrovate delle carcasse di cinghiale nel comune di Tornolo. Oggi si contano 10 casi, gli ultimi ritrovamenti sono avvenuti recentemente nel comune di Borgotaro.
La peste suina africana è una malattia virale grave del suino domestico e di quello selvatico, nelle nostre zone colpisce quindi il cinghiale, ma come è noto, “non coinvolge assolutamente l’uomo” – tiene a precisare Marco Pierantoni, direttore del dipartimento di Sanità Pubblica dell’Ausl di Parma e del servizio veterinario igiene alimenti di origine animali, sempre all’interno dello stesso dipartimento. “È una malattia importante non solo per l’ambito veterinario, ma anche per quello economico perché estremamente contagiosa e con una mortalità elevatissima – spiega Pierantoni – per questo dobbiamo controllarla con misure di eradicazione cioè con la depopolazione e l’abbattimento dei capi ammalati negli allevamenti”.
Oggi, con l’ultimo aggiornamento del regolamento 594 (n° 808 del 29 febbraio), norma con cui l’UE gestisce la peste suina africana, nel parmense abbiamo diversi comuni in zona di restrizione uno (Bore, Varsi, Salsomaggiore Terme, Pellegrino Parmense, Monchio delle Corti, Berceto, Solignano, Varano de’ Melegari, Corniglio e Valmozzola) e altri in zona due (Tornolo, Bedonia, Compiano, Albareto, Bardi e Borgotaro). Nella fotografia (fonte Siman Gia) aggiornate all’11 marzo si vedono i focolai nel parmense.

Quale è differenza fra le due aree?
All’interno della zona due è presente la malattia e quindi, nel perimetro organizzato a partire dai punti di positività, si definisce un territorio nel quale mettiamo in atto dei provvedimenti più restrittivi sia sulle movimentazione degli animali che nella ricerca di quegli infetti. I casi di peste suina africana, fino ad ora, sono stati rinvenuti nei comuni di Tornolo, Bedonia e Borgotaro.
La zona di restrizione uno, invece, è una sorta di cuscinetto nella quale la malattia non è presente, ma è sottoposta ugualmente a restrizioni, in particolare per la movimentazione degli animali vivi. L’attività principale che facciamo in questa area è quella di ridurre il numero dei cinghiali presenti per evitare che l’area d’infezione si allarghi.
Come è organizzato a Parma il lavoro di controllo?
È operativo da tempo un gruppo operativo territoriale istituito dal commissario di governo, che opera in stretto collegamento con quello regionale e direttamente con la struttura commissariale. È composto dai servizi veterinari dell’Ausl che coordinano, dalla Polizia Provinciale, dal settore Agricoltura Caccia e Pesca della Regione, dai Parchi, dalla Prefettura e dalla protezione civile. Questo ci permette di monitorare la situazione e di gestirla per le diverse competenze, per lo più di parte agricola, gli abbattimenti e la caccia di selezione, di parte sanitaria, dal ritrovamento delle carcasse, ai campioni analitici ai controlli sugli allevamenti che facciamo noi.
Quali sono i pericoli per gli allevamenti?
Quando la malattia viene riscontrata in un suino domestico si entra in zona tre. Non ci sono stati nel centro nord focolai negli allevamenti, se non a Pavia che sono stati gestiti e chiusi. Il virus non è stato portato dal suino selvatico, ma dall’uomo. Uno dei problemi di questo virus, è che oltre ad essere letale per gli animali, persiste molto tempo nell’ambiente. È sufficiente pestare o raccogliere inconsapevolmente parti infette e poi venire in contatto con un allevamento per diffondere il virus. Per questo stiamo cercando di sensibilizzare gli allevatori.

Molte delle nostre produzioni alimentari di punta sono a base di carne di suino, prime fra tutte il Prosciutto di Parma, c’è preoccupazione, come vengono tutelati gli allevamenti?
La preoccupazione non è solo nostra naturalmente. Dobbiamo lavorare con le linee di precauzione stabilite. Tutti gli allevamenti sono sottoposti a campionamenti regolari e il sistema di controllo ci permette di individuare facilmente eventuali capi infetti.
Una cosa importante che come gruppo operativo territoriale di Parma abbiamo definito, in accordo sia con la Regione che con il commissario, è che per ridurre la popolazione di cinghiali, abbiamo cominciato a fare abbattimenti anche nelle zone libere, quelle dove sono presenti allevamenti e stabilimenti. Depopolare queste aree è importante per evitare quello che nessuno di noi vorrebbe accadesse. Lo facciamo anche grazie alla collaborazione dei cacciatori e degli Atc, che conoscono molto bene il territorio.
Cosa succede agli animali abbattuti nelle zone libere?
Stiamo predisponendo dei centri per lavorare queste carni, che sono assolutamente idonee all’alimentazione.
Se è così facile “veicolare il virus” ci sono particolari accorgimenti che anche i turisti devono tenere presente quando frequentano boschi o luoghi in Appennino?
Ci sono misure di biosicurezza che devono essere messe in atto anche per le attività ricreative nei boschi. I comuni segnalano quali sono le zone infette. Quando ci sono manifestazioni collettive, camminate o fiere dobbiamo autorizzarle preventivamente. Siamo, anche per questo, in stretto rapporto con i sindaci.
Può fare previsioni su quando si esaurirà questa epizoozia?
No, ciò che posso dire è che stiamo lavorando con un piano nazionale di eradicazione quinquennale. Purtroppo questa non è epizoozia di cui ci si libera facilmente.
Per potere controllare la peste suina africana è necessario identificare precocemente tutti i casi, sia all’interno delle zone dove il virus sta circolando, per potere rimuovere le carcasse fonte di virus per gli animali sani, ma soprattutto nelle aree ancora non interessate dai casi, per identificare i territori in cui è necessario applicare tempestivamente le misure di controllo. Per questa ragione, l’ordinanza 142/2023 del presidente della Regione Emilia-Romagna prevede che chiunque veda una carcassa di cinghiale, ovunque essa si trovi, sia tenuto a segnalarlo.
È stato istituito un numero unico regionale 051-6092124 che inoltra la chiamata alla Azienda Usl competente per il territorio interessata dalla segnalazione.
In Europa la peste suina africana è molto diffusa, è presente in Croazia, Grecia, Germania, Slovacchia, Repubblica Ceca, Bulgaria, Romania, Estonia, Lituania, Lettonia e Svezia.
Tatiana Cogo