
Insieme alle centinaia di maestre che rischiano di perdere il lavoro.
Questa mattina, erano numerose le realtà parmigiane coinvolte nella protesta delle insegnanti, contro la ministra dell’istruzione e quella sentenza del Consiglio di Stato che fa traballare la loro posizione. Al coro di denuncia indirizzato alla Fedeli, in visita a Parma per l’inaugurazione dell’anno accademico, si è unita anche la candidata di Potere al Popolo Margherita Becchetti, insegnante lei stessa e ricercatrice del Centro Studi Movimenti.
«Sulla vertenza delle maestre e sulle schifezze dell’alternanza scuola-lavoro è stato detto tanto – dice Becchetti, a margine del corteo – e non mi sento di aggiungere nulla: condivido ogni parola. Questa è l’ennesima dimostrazione di come la nostra classe dirigente considera l’istruzione. Vorrei solo aggiungere un paio di considerazioni sullo stato comatoso dell’università italiana. È chiaro che dalla riforma Berlinguer del 2000, passando per Moratti e Gelmini, si è imposta un’inversione di tendenza di portata storica: l’obiettivo dell’università per tutti (raggiunto con le tante lotte studentesche degli anni Sessanta e Settanta) è stato oggi sostituito dall’università-azienda, nella quale le retoriche del “merito” e della “valutazione” fanno da padrone. Ma il merito senza uguaglianza non è merito, è privilegio. E che senso hanno le valutazioni sulla qualità quando si riducono drasticamente le risorse? Semplice: condannare e, di conseguenza, dismettere la comunità universitaria nel suo complesso: studenti, ricercatori precari, personale tecnico-amministrativo, docenti incardinati».
Numeri alla mano, la rappresentante di Potere al Popolo spiega come la crisi abbia inasprito la situazione. «Rispetto al periodo 2004-2008 – dice Becchetti –, le immatricolazioni sono calate del 20%, il numero dei docenti del 17%, quello del personale tecnico-amministrativo del 18%, i Fondi di Finanziamento Ordinario del 22%. Il messaggio è chiaro: nella crisi il nostro paese ha accettato il ruolo di periferia del sistema produttivo tedesco. In questo modo, non serve più quell’istruzione tridimensionale, fatta di saperi diversi, in base a cui costruire un pensiero critico e immaginare un modello di sviluppo sganciato dal profitto, dai numeri chiusi e dalla devastazione ambientale. Serve piuttosto manodopera senza particolari qualifiche e soprattutto senza consapevolezza dei propri diritti. E se, nonostante tutto, si riesce a mantenere livelli decenti di preparazione e avviare le menti migliori alla ricerca, proprio queste vengono poi costrette al precariato e messe in fuga verso le esigenze produttive dell’Europa che conta. Contro tutto questo, ribadiamo con forza che l’università deve essere per tutti e che a chi ci lavora devono essere riconosciuti diritti e salari adeguati. Contro l’università-azienda, per la libertà dei saperi».