In una scuola primaria statale di un quartiere della periferia ovest di Parma, si è deciso di organizzare la tradizionale recita di Natale coinvolgendo più classi. Un momento atteso, simbolico, carico di emozione. Proprio per l’alto numero di partecipanti, però, la scuola ha stabilito che per ogni bambino potrà essere presente un solo genitore, per evitare il sovraffollamento della sala.
Una scelta organizzativa, certo. Razionale, sulla carta. Ma è legittimo chiedersi: è davvero l’unica possibile?
E soprattutto: quali effetti produce, dal punto di vista educativo e simbolico?
Limitare la presenza a un solo genitore significa, di fatto, escluderne un altro. Significa introdurre una selezione all’interno di un momento che, per sua natura, dovrebbe essere inclusivo, condiviso, comunitario. Non è solo una questione logistica: è una questione culturale. Chi resta fuori? E perché?
In un contesto sociale già fortemente segnato da dinamiche divisive, individualiste, frammentate, questa scelta rischia di rafforzare un messaggio implicito: la partecipazione non è un diritto che si prova a garantire a tutti, ma una concessione da contingentare. E questo stride con ciò che, giustamente, viene richiesto alle famiglie ogni giorno: collaborazione, corresponsabilità educativa, presenza attiva nella vita scolastica.
Ci si chiede allora se non fosse possibile immaginare altre soluzioni. Replicare la recita in due momenti. Pensare a una diretta o a una proiezione in un altro spazio. Organizzare piccoli turni. Coinvolgere il territorio. Tentare, almeno, di non escludere nessuno.
Perché il problema non è fare tutto perfettamente, ma dimostrare che l’inclusione è un valore da cercare, non un ostacolo da aggirare.
La scuola è uno dei pochi luoghi pubblici rimasti in cui si costruisce comunità. Anche – e soprattutto – attraverso i gesti simbolici, come una recita di Natale. Proprio per questo, ogni scelta organizzativa porta con sé un messaggio educativo.
E allora la domanda resta aperta, senza accuse ma con responsabilità: in una società che chiede sempre più partecipazione alle famiglie, possiamo permetterci decisioni che, di fatto, la riducono?
Forse non si tratta di trovare soluzioni facili. Forse si tratta di continuare a farsi le domande giuste.
Un “anonimo” genitore

