“Quelli che non vogliono”, anzi “quelli che non possono” (MarcoMaria Freddi)

SMA MODENA

Ringrazio le compagne e ai compagni con cui avrò presto il piacere di confrontarmi su un tema che mi sta profondamente a cuore.

E un grazie sincero alla mia amica Silvia, per avermi segnalato un testo illuminante del filosofo indiano Jiddu Krishnamurti, che mi ha spinto a queste riflessioni.

Mi confronterò con voi sul tema della politica e quell’angolo cieco delle nostre città, una questione profondamente umana, dove la politica – e non la mera gestione amministrativa – è chiamata a dare risposte concrete.

Il testo di Jiddu Krishnamurti ci spinge a riflettere su uno dei nodi più complessi delle nostre città, che sono lo specchio fedele della nostra società. Negli angoli più bui, si celano persone che troppo spesso vengono ignorate o, peggio, giudicate: sono individui in grave emarginazione adulta, afflitti da problemi di salute mentale o dipendenze. Le amministrazioni pubbliche e le associazioni di accoglienza li definiscono “quelli che non vogliono”, ma la verità, come ci suggerisce la profonda riflessione di Jiddu Krishnamurti, è che forse dovremmo dire “quelli che non possono”. La loro condizione, intessuta di traumi e violenze, rende l’accettazione dell’aiuto un compito quasi insormontabile.

Sono “quei signori”, come li definiscono, con toni rudi, gli esponenti della estrema destra al governo del paese. Li vediamo negli angoli delle strade, magari di fianco al Teatro Regio o davanti a una vetrina in Via Garibaldi, coperti di stracci. La loro immagine viene impropriamente associata al degrado urbano da “ripulire con gli idranti”, senza che nessuno si interroghi sulle radici profonde della loro sofferenza.

Sono figure comode durante le campagne elettorali, utili per attaccare l’avversario di turno. Eppure, diventano scomode, fastidiose, nel momento in cui si propone di agire concretamente per un vero impegno nell’integrazione socio-sanitaria e amministrativa. Sono “quelli” da cui è meglio girare alla larga, per il cattivo odore, i capelli arruffati, la paura che incutono, alimentata da dicerie infondate e crudeli.

Per molti, la soluzione preferita è il daspo urbano, gli sgomberi e gli allontanamenti forzati, o persino il carcere a base di psicofarmaci, pur sapendo che, inevitabilmente, torneranno per strada. In questo contesto, persino la Legge Basaglia, un pilastro di civiltà, viene tirata in ballo, con il desiderio di tornare a un’era di manicomi e dimenticanza, come se la reclusione potesse cancellare la complessità di queste esistenze.

C’è chi prova a cambiare le cose, a migliorarle, riconoscendo che, nonostante tutto, qualcosa di buono esiste. Il vero banco di prova della civiltà di una società risiede nella sua capacità di ascolto delle persone più povere, quelle che non possono autodeterminarsi. Troppo spesso, persino le “buone” amministrazioni comunali e le associazioni di accoglienza pretendono l’autodeterminazione da parte di chi, a causa di disturbi mentali o dipendenze, non è in grado di esercitarla pienamente per fruire dell’aiuto.

La storia di figure come Don Luigi Liegro, Don Luciano Scaccaglia, Simone Strozzi, Don Massimo Biancalani, Mimmo Lucano e, oggi a Parma, di Nadia Buetto, ci insegna una lezione ben diversa: i poveri si accolgono. Si accolgono al netto della residenza, al netto della loro capacità di comprendere o accettare l’aiuto, perché sono persone malate e la loro fragilità non deve essere una condizione per l’accesso alla dignità e al sostegno.

Dobbiamo, quindi, compagne e compagni, cambiare il modo di vedere il mondo, noi stessi e le persone che ci circondano. Perché progressisti e socialisti, dobbiamo avere il coraggio politico di lasciare un segno indelebile: LA BUONA AMMINISTRAZIONE NON SARÀ RICORDATA DA NESSUNO, QUELLA CORAGGIOSA SÌ.

Solo con un tale coraggio politico potremo affrontare queste sfide insieme, in modo autentico. Come ci ricorda Jiddu Krishnamurti, “La più alta forma di intelligenza umana è la capacità di osservare senza giudicare”. È in questa saggezza, nella capacità di superare i nostri pregiudizi e di accogliere l’altro nella sua vulnerabilità, che risiede la chiave per costruire una società più giusta e umana per tutti.

MarcoMaria Freddi – Radicale e socialista, iscritto al Partito Democratico