Reportage Bielorussia 3 – A Brest il sangue sovietico diventa pietra viva (di Andrea Marsiletti)

di Andrea Marsiletti

REPORTAGE BIELORUSSIA – Visitare la Fortezza di Brest significa penetrare nel cuore di una memoria che la Bielorussia custodisce con tenacia e orgoglio.

Situata al confine con la Polonia, a quattro ore di auto dalla capitale Minsk, la cittadella fu costruita dall’Impero zarista nell’Ottocento ma la sua fama nacque nel giugno del 1941, quando le truppe naziste invasero l’Unione Sovietica. Qui un pugno di soldati e civili, innalzando al cielo la bandiera rossa della rivoluzione bolscevica, resistette per settimane, circondato e senza rifornimenti, opponendo una difesa disperata che divenne subito leggenda.

Prima di accedere al complesso monumentale si attraversa un sottopasso con un murales che lascia pochi dubbi sul campo di appartenenza ideologico. Scrivo un messaggio whatsapp al sindaco Michele Guerra: “Qui i tuoi giovani di Parma capitale europea dei giovani che dipingono murales di Giuseppe Verdi verrebbero fucilati“.

Oggi la Fortezza è un santuario ideologico che incarna il mito della “Grande Guerra Patriottica” di Stalin.

Chi vi entra è accolto da un portale monumentale a forma di stella, scolpito direttamente nella massa di cemento. E’ un varco simbolico, che introduce il visitatore in un universo epico dove il sacrificio si fa mito fondante.

All’interno si staglia l’enorme scultura del “Soldato che grida”: un volto gigantesco, scavato nella pietra, che cerca acqua, che lancia un urlo di dolore e di rabbia, ma anche di incitamento alla resistenza. Il grido di pietra non è una testimonianza del passato, è un comando rivolto al presente.


Ecco che mi passano davanti dei giovanissimi in marcia militare.

Le giovani leve bielorusse eredi dei martiri sovietici.

Il monumento ai caduti sovietici, dalle dimensioni enormi, è il cuore di questo complesso. Qui la celebrazione socialista incontra l’arte monumentale per trasmettere il messaggio che la vittoria e la libertà sono state pagate con il sangue dei soldati rossi.


REPORTAGE BIELORUSSIA


La fiamma eterna, che arde giorno e notte davanti alle lastre con i nomi dei difensori, è un dispositivo pedagogico pensato per le nuove generazioni per imprimere l’idea di una comunità cementata dal sacrificio, invitare a riconoscersi nei caduti e a vedere in loro un modello di dedizione totale allo Stato.

Passeggiando tra i resti delle caserme distrutte, tra mura crivellate di colpi e gallerie semibuie, il visitatore percepisce una duplice tensione. Da un lato, la commozione autentica di fronte a un eroismo collettivo; dall’altro, l’evidente costruzione ideologica che trasforma quei martiri in figure emblematiche della narrativa sovietica. Il confine tra memoria storica e mito politico è labile, ma forse proprio in questa ambiguità risiede la potenza del luogo.

La Fortezza di Brest è un testo ideologico scolpito nella pietra.

E alla fine, uscendo dalla Fortezza, resta negli occhi il contrasto tra il silenzio dei cortili e il grido immobile delle statue. È come se le pietre fossero un’eco che non vuole spegnersi, come se i muri feriti continuassero a raccontare una fedeltà che non si consuma.

La Fortezza di Brest è una voce che chiama, che rinnova un patto con la collettività bielorussa.

E ci ricorda che la memoria, quando diventa sangue e pietra, può illuminare il futuro.

Andrea Marsiletti

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