
Dal 13 al 16 agosto 2025, Collecchio, in provincia di Parma, ha ospitato ancora una volta l’European Massimo Romeo Youth Trophy (EMRYT), il più importante torneo giovanile di softball europeo. Un evento che da quasi vent’anni si propone come palestra di vita per ragazze e ragazzi under 13, un’occasione per crescere nello sport, incontrarsi, conoscersi e imparare il valore dell’amicizia e della fratellanza oltre i confini nazionali.
Il torneo è nato nel 2006 grazie a Massimo Romeo, dirigente storico della FIBS (Federazione Italiana Baseball e Softball), con l’obiettivo di offrire ai giovani un’esperienza che fosse più di una semplice competizione: un’esperienza educativa e inclusiva. L’EMRYT si è sempre distinto per i suoi valori fondanti: pace, condivisione, inclusione.
Quest’anno la manifestazione ha visto la partecipazione di poco più di una dozzina di squadre, divise in due categorie: la Future Division, dedicata ai team emergenti, e la Sport Division, riservata alle squadre più esperte. Tra i partecipanti, accanto a selezioni provenienti da Croazia, Repubblica Ceca, Spagna, Italia, Ucraina e Georgia, figura anche la squadra di Israele (qui le foto del match Israel vs Eagles Praha).
Ed è proprio questa presenza ad aver sollevato più di una perplessità.
Non si tratta soltanto di una questione di sensibilità politica, ma di coerenza. Per il 2022, la WBSC Europe, ovvero l’organo di governo europeo del Baseball, del Softball e di tutte le competizioni per Squadre Nazionali e Club sotto nel quale si inserisce l’EMRYT, aveva infatti deciso di escludere tutte le squadre, giocatori, allenatori e ufficiali provenienti da Russia e Bielorussia dalle sue competizioni, sia a livello nazionale, sia di club, in risposta all’invasione russa dell’Ucraina iniziata nel febbraio 2022.
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La stessa esclusione era stata confermata anche per il 2023: nessuna partecipazione russa o bielorussa era stata ammessa nel programma delle competizioni continentali (qui la notizia sul sito ufficiale della WBSC (qui la notizia sul sito ufficiale della WBSC).
Allora la motivazione era chiara: quei Paesi erano considerati aggressori in una guerra d’invasione e, proprio per questo, incompatibili con i valori fondanti dello sport giovanile europeo. Perché, allora, nel 2025 Israele non solo non è stato bannato, ma ha potuto scendere in campo a Collecchio nonostante il genocidio in corso a Gaza e l’immenso tributo di vittime civili, soprattutto bambini?
L’Unicef, per voce del vicedirettore generale Ted Chaiban, ha ricordato pochi mesi fa un dato impressionante: dall’inizio del conflitto a Gaza sarebbero stati uccisi oltre 18.000 bambini, “una media di 28 al giorno, l’equivalente di una classe scolastica”. Numeri che interrogano profondamente, soprattutto se pensiamo al significato educativo dell’EMRYT.
Secondo recenti dichiarazioni rilasciate dal ministro italiano dello sport Andrea Abodi, incalzato sulla legittimità di partecipazione della nazionale israeliana di calcio a Udine, “lo sport deve unire, non dividere”, e quindi l’esclusione di Israele non sarebbe giusta. Ma la domanda da porsi è un’altra: davvero è lo sport a dividere, o piuttosto lo sono le scelte politiche e militari di uno Stato? È davvero un torneo giovanile il luogo dove fingere che nulla accada, quando migliaia di bambini palestinesi (coetanei delle ragazze che sono scese in campo a Collecchio) hanno perso la vita a causa dei massacri che ogni giorno sono perpetrati a Gaza da Israele? A causa di una “human engineered-famine”, un termine inglese dal significato molto più preciso rispetto a ciò che in italiano si tradurrebbe in “una carestia indotta dall’uomo”?
Poi, perché due pesi e due misure? Perché Russia e Bielorussia no, ma Israele sì?
Il softball giovanile europeo merita di restare un laboratorio di speranza, non un palcoscenico che ignora le sofferenze dei più piccoli. Se davvero vogliamo che lo sport “non divida”, allora occorre avere il coraggio di difenderne fino in fondo i principi: pace, amicizia, solidarietà. E rimanere coerenti con la decisione presa nel momento della selezione delle squadre partecipanti. Perché altrimenti rischiamo che dietro il sorriso delle ragazze in campo resti il silenzio assordante di chi non ha più voce per giocare.
Francesca Riggillo
(foto credit: Simone Ferrari, WBSC Europe)
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