Scontri in Francia, Guerra: “Serve una riqualificazione urbana e umana che promuova un vero senso di comunità”

di UG

“L’immagine di questo post è tratta da un film di Mathieu Kassovitz del 1995, “L’odio”. Un film di culto per diverse generazioni di francesi e non solo, un film su cui molta sociologia si è nel tempo esercitata per cercare di capire il fuoco che da decenni non si spegne nelle banlieues reali e simboliche d’Europa.
I fatti di questi giorni ci dicono che il fuoco è tutt’altro che domato e denunciano errori, sottovalutazioni, prospettive sbagliate e soprattutto tanta paura e con essa tanta collera, di cui non solo la Francia ma tutta l’Europa deve occuparsi, perché il contagio, lo abbiamo visto, ha già iniziato a diffondersi.”

Lo scrive su Facebook il sindaco di Parma Michele Guerra.

“Partiamo da un dato incontrovertibile: da alcuni giorni uno dei paesi più importanti del mondo è tenuto sotto scacco da ragazzi sotto i 20 anni, molti dei quali minorenni. La maggior parte di essi ha in comune una provenienza sociale fatta di povertà e di emarginazione, spesso figlia di migrazioni post coloniali e di forme discriminatorie che resistono belle solide nelle nostre società. La risposta che sta fornendo la Francia, così come molti commentatori europei, è una sacrosanta condanna alla violenza, che passa attraverso lo strumento della stigmatizzazione e della repressione.

 

† Terra Santa 3 – L’esperienza intensissima della trasfigurazione sul monte Tabor, nonostante Lavagetto (di Andrea Marsiletti)

 

La violenza, da troppo tempo verrebbe da dire, è purtroppo il veicolo di temi e messaggi molto più profondi e complessi, che la repressione può tacitare per qualche mese, ma che puntuali tornano a sfociare in violenza. Temi difficili, che ci interrogano in maniera scomoda e che hanno bisogno di risposte concrete: di politiche e di risorse economiche dedicate.

Questi giovanissimi, a partire dalla morte di un loro coetaneo “per mano dello Stato”, mettono in discussione l’architettura sociale di quello stesso Stato e di tutti gli Stati europei.

Gli scontri in Francia ci stanno dicendo una cosa: viviamo di solo presente, in uno stato emotivo e politico perennemente emergenziale, dove tutto è disastro e degrado, tutto è pericolo e, di conseguenza, niente lo è più davvero, altrimenti avremmo fatto tesoro delle rivolte degli ultimi decenni.
Continuiamo a parlare di un futuro per pochi e lo facciamo senza troppa convinzione e il futuro che stiamo raccontando ai nostri giovani è spesso completamente diverso da quello immaginato da loro.
Il modo francese di affrontare queste dinamiche, che ha fatto di emarginazione e repressione la soluzione “perennemente emergenziale” a una crisi vissuta da milioni di persone, ci dimostra che non può essere questa la strada da percorrere. Non l’unica, almeno. E ci dice una volta di più che quella che credevamo una questione esclusivamente socioculturale, ora sta diventando una questione fortemente generazionale.

È adesso che dobbiamo fare lo sforzo di ridiscutere quello che finora abbiamo creduto indiscutibile, smettendo di pensare che la rivolta sia necessaria a una trattativa politica, ma cominciando a credere a chi ci urla che non è più sopportabile la disgregata forma di segregazione che le società contemporanee stanno nell’indifferenza portando avanti.

Non c’è futuro senza i giovani europei, tutti i giovani europei. Per questo la Francia oggi è tutta l’Europa. Perché anche in Italia, anche nelle nostre città, pur con una storia così diversa da quella francese, potrebbe accadere qualcosa di simile.

Non corriamo il rischio di ritrovarci ad aver sbagliato tutto per cecità e paura, per presunzione e per l’ennesima volta. O, peggio, non strumentalizziamo politicamente a destra e sinistra eventi che con la dialettica di parte c’entrano poco e niente.

Piuttosto, iniziamo, in Europa, a garantire piani seri di riqualificazione urbana e umana che si concentrino sulla promozione di un senso vero e non ghettizzato di comunità. Si parta dalle scuole e dalle case, scardinando le barriere che oggi dividono, si investa su una politica del lavoro che porti chi vive ai margini verso il centro delle nostre società, si investa su piani culturali, che consentano a tutti di entrare in contatto con ciò che apre la mente e guida il progresso sociale. Si studi un PNRR dove le due “r” siano riconoscimento e riconciliazione.

Perché “L’odio” ha già 28 anni, ma il mondo è cambiato velocemente e noi siamo rimasti immobili pensando che accadesse qualcosa che evidentemente non è accaduto.

È ora di ricominciare, a partire dalle città e con l’aiuto e le risorse che l’Europa sa dare.”

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