
Sempre più spesso il Comitato Tardini Sostenibile, impegnato da molti mesi a contrastare il progetto di demolizione e ricostruzione del nuovo Tardini, riceve le testimonianze scritte dei tanti residenti (ma non solo) costretti a subire le incredibili conseguenze sulla loro vita derivate dallo stato d’assedio a cui il quartiere viene sottoposto durante le partite di calcio. Si arriva infatti a privare una parte di cittadini del loro sacrosanto diritto alla mobilità personale e all’accoglienza; della sicurezza e della tempestività del primo soccorso medico; della possibilità di una riparazione urgente presso la loro abitazione, o dell’espletamento delle più ordinarie, banali necessità, o della libertà personale di movimento e di godimento dei propri spazi di vita. Tutti diritti e consuetudini abituali, questi, considerati per chiunque scontati e dovuti, com’è giusto che sia.
Ma non per il quartiere Cittadella, che da decenni subisce il coprifuoco e lo stato d’insicurezza, di disturbo e di caos durante le partite, e che sarebbe intollerabilmente ancora più vessato dalla trasformazione dello stadio in centro commerciale e polo di intrattenimento con grandi eventi di ambito extra territoriale funzionante sette giorni su sette.
La città è un corpo vivente unico, e colpirne una parte, anche un singolo organo del suo complesso e interdipendente sistema di vita, significa condizionare, e talvolta compromettere, la sua salute generale. Riconosciamo certamente ai tifosi il diritto di godersi la partita della loro squadra del cuore: ma la fruizione sporadica di uno spazio cittadino non può essere a danno della collettività che lo abita e lo cura tutti i giorni dell’anno. Per amministrare una comunità, pensando al presente ma soprattutto al futuro, è indispensabile partire dai bisogni e dalle richieste di coloro che – quartiere per quartiere – curano, animano e tengono in vita le strutture, le relazioni e le economie dei luoghi. Quale integrazione e partecipazione degli abitanti nel processo di trasformazione del quartiere hanno messo in atto i nostri amministratori? Nessuna: assente il dibattito pubblico, azzerato anche sul principale organo di stampa cittadino.
Nella valutazione della proposta dell’investitore privato, come da mandato conferitole dai cittadini, l’amministrazione avrebbe dovuto svolgere con rigore la propria funzione di indirizzo e compiere uno studio approfondito dei costi e dei benefici di questa imponente trasformazione urbana, predisponendo la più seria e lungimirante proposta pubblica di pianificazione della città che contemplasse anche l’ipotesi della de-localizzazione dell’infrastruttura.
Non è accettabile inserire in quell’area un’infrastruttura palesemente fuori misura e fuori contesto e piegarne la vocazione residenziale con utilizzi che non le appartengono. Vale la pena di rifletterci, perché la gestione del patrimonio, in questo caso addirittura ceduta a costo zero, per favorire i criteri aziendalistici del privato e parallelamente il costante abbassamento del livello del dibattito pubblico, non hanno mai creato benessere diffuso, nè crescita morale e culturale. Viceversa, hanno sempre portato il degrado dei luoghi, ridotto la consapevolezza e mortificato la formazione dei migliori processi di appartenenza identitaria della comunità, arrivando anche rompere equilibri consolidati e pace sociale.
Parma non deve dimenticare la propria storia di ascolto democratico della cittadinanza, di salvaguardia dell’integrità e della sua bellezza urbanistica, così come la sua tradizione di civiltà della misura e del buon vivere, nella garanzia del rispetto e della tutela del vero interesse pubblico di tutti.
Alcuni testi firmati dai residenti del quartiere pervenuti al Comitato Tardini Sostenibile
(qui volutamente indicati con le sigle)
P.F. “Prima partita di campionato del 2019-20. Di ritorno da fuori Parma ci troviamo imbottigliati in v.le delle Rimembranze: solito stop, non si passa, nonostante il Pass di cortesia (cosa vorrà dire? La cortesia di lasciarci arrivare a casa?). Mentre cerchiamo di fare retromarcia per passare da un’altra parte, dietro di noi viene fermato un altro signore con il pass, che indica la sua casa a 15 metri di distanza. “No, di qua non si passa”. “Torno adesso dall’ospedale, dove ho fatto la dialisi. Sono stanco”. “No, ordini del prefetto. Di qua non si passa.” Il signore minaccia di chiamare i Carabinieri. Lo lasciamo che ancora discute visibilmente alterato, mentre cerchiamo un altro accesso. Dopo una sosta in v.le Duca Alessandro, veniamo rimandati in v.le delle Rimembranze dove, dopo uno scambio telefonico con la polizia locale, il blocco viene tolto e il signore torna a casa, e anche noi. Il giorno dopo sulla Gazzetta compare una mail che racconta l’episodio, ma a puro titolo di cronaca, dal momento che il blocco ricompare puntualmente nelle partite successive”.
F.F. “Anno 2011. L’ambulanza, caricata mia suocera all’inizio di strada Casa Bianca, preferì prendere la tangenziale per raggiungere l’ospedale, compiendo un tragitto più lungo”.
A.B. “Era il ‘94, partita contro l’Ajax. Io ero sotto infarto e i tifosi ubriachi impedivano all’auto guidata dai miei colleghi di portarmi all’ospedale. Non dimentico: furono i vigili a fatica a sfondare e creare un varco per deviare la nostra auto sullo Stradone, arrivai in terapia intensiva con mezz’ora di ritardo sui “tempi canonici”, per fortuna alla fine mi andò bene, ma in questi casi è spesso questione di minuti…”.
L.D. “Ricordo bene il 23 Dicembre 2016, follia di una partita l’antivigilia di Natale. Tutto bloccato, ci metto più di un’ora per rientrare a casa dall’ufficio (invece dei soliti 15 minuti). Mia figlia ha poco più di 1 anno e ha la febbre. La pediatra (con studio sulla rotonda del Petitot) visita solo in studio, ma è impossibile arrivarci. Dopo molte telefonate mi concede di passare in bici da casa e visitare la bambina.
Dopo questo episodio ricordo “solo” celerini in tenuta antisommossa sotto casa e divieto di attraversare a piedi via Torelli per portare la bambina al parco Ferrari nelle giornate di calcio a Parma”.
G.A. “Abito vicino allo Stadio. Due dei miei tre figli più piccoli frequentano una scuola materna praticamente adiacente allo stadio. Giovedì 01-12-2021 esco di casa già in ritardo per prendere i miei figli a scuola, ignara (mea culpa) della partita e del blocco di mezza città. Dopo neanche 200 metri, mi fermo al primo incrocio ed ecco le transenne e i vigili. No, non si passa. Guardo l’orologio, il tempo stringe, faccio il giro largo, imbottigliata nel traffico e arrivo in scivolata alla scuola elementare di mia figlia. Ripartiamo. Direzione ‘zona rossa’, già sudo, una coda infinita. Ecco riapparire le transenne, primo posto di blocco, non si passa. Faccio vedere il permesso disabili della mia piccolina, discuto e si apre il primo varco. Venti metri dopo, il secondo posto di blocco. Abbasso il finestrino e sventolo di nuovo il pass, ho il permesso, fatemi passare devo prendere mia figlia a scuola. Grande concessione, passo, ma dopo altri 30 metri un nuovo blocco, e poi altri due, tre blocchi. Il tragitto sembra infinito. All’ultimo posto di blocco, finalmente si aprono le transenne. Faccio per svoltare a destra ma, dove potevo parcheggiare davanti all’asilo, trovo almeno 15 poliziotti.
“Si tranquillizzi signora, guidi piano che altrimenti ci mette sotto”, mi dicono. D’accordo, scusate… Scendo dalla macchina, lascio mio papà di 89 anni con mia figlia in macchina, debitamente scortati da decine di poliziotti, e corro dentro a prendere i due bambini. Non ci crederete. Mentre ero dentro a mettere i giubbotti ai bimbi, uno dei poliziotti viene a cercarmi dentro l’asilo. Dentro l’asilo! La scena è surreale. La responsabile delle educatrici che era all’ingresso mi viene incontro: “Ti cerca la polizia, dice che devi fare presto, che sta arrivando il pullman dei tifosi.” Il pullman dei tifosi?! Scusate ma almeno il tempo di vestire i bambini. Io non lo so, ma siamo impazziti?! Quando esco dalla scuola, mentre sistemo i bambini in macchina, un altro poliziotto mi dice con tono gentile: “Eh, capisca, ma c’è la partita!”. La partita di calcio. Ma si può bloccare mezza città per una partita? Gli stadi bisogna costruirli fuori, perché le persone vengono prima delle partite”.
B.C. “Buongiorno, sono un’anziana insegnante in pensione, abito da moltissimi anni in via Puccini. Seguo con vivo interesse e preoccupazione i progetti del nuovo stadio e ringrazio di cuore chi tanto si sta dando da fare per impedire che il mega progetto vada avnti. Il mio sogno è che il nuovo stadio venga costruito in un’area più idonea, perchè sono molto preoccupata per quanto succederà nei prossimi anni. Già ora noi residenti nel quartiere viviamo situazioni assurde, a volte comiche, talora drammatiche, per non dire che tutta la città nei giorni delle partite subisce pesanti condizionamenti in relazione al traffico e alla chiusura di strade. Io stessa potrei raccontare di come domenica 21 novembre, in occasione della partita Parma-Cosenza (con inizio alle ore 14), mentre rientravo a piedi alle 12.45 sono stata bloccata a pochi metri da casa (davanti al mio cancello uno spiegamento delle forze dell’ordine e quasi nessun tifoso ospite) o come mercoledì alle 16.30 all’idraulico che doveva fare un intervento urgente per una perdita d’acqua nel mio impianto di riscaldamento è stato impedito di passare”.
V.B. “Io sono una mamma di due bambine che frequentano la Pezzani. Da quando la scuola ha riaperto post lockdown le classi entrano ed escono da ingressi separati per evitare assembramenti e possibili contagi. Oggi pomeriggio – mercoledì 1 dicembre – per la partita di calcio, tutti i bambini usciranno da un unico ingresso. Mi chiedo, com’è possibile che non venga rispettata la normativa anti Covid per una partita di calcio? Io lo trovo pazzesco”.
Il commento di Alessandro Bosi
Centro interdipartimentale di ricerca sociale (Università di Parma)
Qualche tempo fa, con l’espressione “quartiere dormitorio” s’intendeva una parte della città deprivata di servizi e spesso degradata a spazio silente, buono solo per andarci a dormire.
Ai nostri giorni il “quartiere dormitorio” (a Parma e in altre città) è spesso ambito e sono sempre più numerose le famiglie che abbandonano il centro storico per rifugiarvisi.
Le testimonianze qui riportate sono la spiegazione più lucida e meglio argomentata delle ragioni che motivano questa scelta.
I centri storici, spazi svenduti al miglior offerente, sono gabbie claustrofobiche per chi le vive. Andarsene a gambe levate sembra ormai la miglior soluzione.
Ma trasformare la città in un luna park per clienti e perdere i cittadini, costituisce davvero un disegno credibile per il nostro domani?