C’è un paradosso che pesa come un macigno sulla politica italiana: la patria del Manifesto di Ventotene, il simbolo dell’Europa unita, oggi è guidata da chi ne rinnega lo spirito. Giorgia Meloni, in Parlamento, ha dichiarato che “l’Europa di Ventotene non è la mia Europa”. Un’affermazione che suona come una frattura con la storia e con l’identità più profonda del nostro Paese.
Citare Spinelli per negarne l’eredità è un atto politico preciso: la premier ha estrapolato il riferimento alla “rivoluzione” per ridurre Ventotene a un testo ideologico, lontano dal suo sovranismo. Ma quella rivoluzione non era contro l’Europa: era contro le guerre e i nazionalismi che l’avevano distrutta. Meloni, invece, propone un ritorno all’“Europa delle nazioni”, un continente frammentato e protezionista, più vicino alla visione di Trump che a quella dei padri fondatori.
Dietro il populismo identitario della premier si intravede un disegno geopolitico più ampio: un’Europa debole, funzionale agli interessi americani e sostenuta dalle alleanze con Orban e Fico. Una strategia che contrasta apertamente con il progetto di un’Unione capace di contare nel mondo.
Mentre gli Stati Uniti e la Cina ridisegnano gli equilibri globali, l’Italia si arrocca dietro la retorica della sovranità, rischiando di diventare spettatrice impotente nel nuovo ordine mondiale.
Le contraddizioni del governo
Il 22 ottobre, mentre il Parlamento europeo approvava la Risoluzione Gozi per superare il diritto di veto, Meloni difendeva l’unanimità come “garanzia democratica”. Peccato che il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, a nome del governo italiano, avesse già firmato nel 2023 la “Lettera degli Amici della maggioranza qualificata” per abolirla. E lo stesso presidente Mattarella, in più occasioni, ha richiamato l’obiettivo di un’Europa federale, l’unica in grado di tutelare davvero gli interessi nazionali. Un cortocircuito politico che lascia i partner europei interdetti: qual è la vera posizione dell’Italia?
L’Europa si gioca il futuro
La guerra in Ucraina, l’instabilità del Medio Oriente, la crisi energetica e la pressione migratoria hanno già dimostrato che nessuno Stato europeo può affrontare da solo le sfide globali.
Lo ha detto anche Guido Crosetto, ministro della Difesa e uomo di realismo politico: “L’Italia non gioca nella stessa serie delle grandi potenze.”
E allora, a chi serve un’Europa divisa, lenta, prigioniera dei veti? Non certo agli italiani, non certo ai cittadini europei.
Ventotene non è un reperto da commemorare, ma una bussola da seguire.
Difendere l’unanimità, invocare la “sovranità nazionale” e rifiutare l’integrazione significa sabotare il futuro dell’Unione.
Significa rinunciare a contare.
Un bivio di civiltà
L’Europa è di nuovo a un bivio: federarsi o dissolversi. Meloni, con la sua retorica nazionalista, ha scelto la strada più facile e più pericolosa. Ma l’interesse nazionale — quello vero, non quello urlato — vive solo in un’Europa forte, democratica e sovrana.
Ventotene ci aveva indicato la via dell’unità. Oggi Meloni sembra voler invertire la rotta. E in questa rotta di collisione rischia di trascinare non solo la sua leadership, ma l’Italia intera fuori dalla storia.
Dalmazio Dallaturca (Movimento Federalista Europeo di Parma)


