† L’anima nelle religioni, quattro sguardi su un mistero che ci supera (di Andrea Marsiletti)

di Andrea Marsiletti

TEODAILY – Parliamo di anima. Tutti credono di averne una, pochi saprebbero descriverla, molti la danno per scontata come il Wi-Fi: invisibile, ma se manca te ne accorgi subito. Eppure, quando si mettono attorno allo stesso tavolo cristianesimo, buddhismo, islam e induismo, il concetto non solo cambia forma, esplode.

Il cristianesimo, per cominciare, difende l’anima come una realtà unica e irripetibile, creata da Dio “a sua immagine”. Non è un’energia sparsa nell’universo, né una scintilla impersonale: è tu, nella tua irriducibile originalità. L’anima è ciò che sopravvive alla morte e che, nella visione cristiana, è destinata a una relazione eterna: con Dio, non con un ciclo cosmico anonimo. L’idea centrale è che l’anima non vuole dissolversi, vuole compiersi.

Il buddhismo, con un colpo di spugna, elimina la questione: anatta, “non-sé”. Non esiste un’anima permanente, nessun sé che duri più di un istante. L’obiettivo non è salvare l’anima, ma liberarsi dall’idea stessa di averne una; l’attaccamento a un sé solido è la radice degli impulsi che ci fanno soffrire. A guidare c’è un flusso karmico, una continuità di cause ed effetti. È come una fiamma che accende un’altra fiamma: non è la stessa, ma non è totalmente diversa. L’anima è un processo, non un’identità, non la versione metafisica del nostro passaporto.

L’Islam, invece, vede l’anima (nafs, ruh) come un soffio divino che Allah insuffla nell’uomo. È fragile, incline al bene ma anche all’errore, e ha bisogno di disciplina, memoria di Dio e rettitudine. Non è un’entità da dissolvere, ma da purificare. L’anima nell’islam è un cammino morale: più ti ricordi di Dio, più te stesso diventi. Semplice? No, ma molto concreto. Una spiritualità con i piedi per terra.

Infine, l’induismo, che sul tema dell’anima (ātman) mette sul tavolo la visione più vertiginosa: l’anima è identica al principio assoluto, Brahman. Il sé profondo non è un individuo, è l’Assoluto stesso che si riconosce. Da qui l’idea del ciclo di reincarnazioni: l’ātman si sposta di vita in vita finché non riconosce la propria natura divina. Per certi aspetti è la visione più “mistica”, per altri la più spiazzante: se l’anima è Dio, allora chi siamo davvero?

Quattro tradizioni, quattro mondi. Il cristianesimo difende la persona, il buddhismo smonta la sua illusione, l’islam la educa, l’induismo la divinizza. Tutti cercano una verità, ma forse il punto non è decidere chi ha ragione. Forse il mistero dell’anima sta proprio qui: non siamo fatti per definirla in modo definitivo, ma per ascoltarla. Che crediamo sia un volto eterno, un’eco cosmica, un soffio o un’illusione, l’anima rimane il luogo più inatteso dove l’essere umano scopre di essere più grande di sé.

E, diciamolo: qualunque sia la metafisica che scegliamo, nessuno riesce davvero a liberarsi della domanda. Perché, alla fine, c’è sempre qualcosa in noi che non vuole tacere. E forse, qualsiasi nome gli diamo, è proprio lì che l’anima inizia a farsi sentire.

Andrea Marsiletti

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